REDAZIONE PONTEDERA

"Vi ho chiamati amici" La benedizione del vescovo Giovanni

Carissimi amici, insieme ai miei auguri per una Pasqua piena di gioia, vorrei proporvi alcune riflessioni a partire da un testo evangelico di questi giorni."Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici...". Ho iniziato questo messaggio proprio con la parola “amici”: ho imparato, seguendo Gesù, che è possibile riconoscersi amici, in senso profondissimo, anche se non ci si frequenta, anche a distanza di spazio e di tempo. Amici, perché condividiamo il dono della vita, l’essere parte della famiglia umana. Per me, per chi crede in Cristo, questa amicizia si radica nelle parole di Gesù: se Lui, proprio in questi giorni pasquali, offre sé stesso per noi – "Per voi e per tutti", dice la liturgia – l’unità con ogni persona è così radicale, originale, che solo la nostra cattiveria può costruire muri di divisione e di odio, fino alla guerra. In queste prime settimane ho fatto esperienza di questa amicizia e ho visto comunità dove si vive la comunione come stile di vita. La Chiesa è il popolo di Dio in cammino verso la terra promessa: in questo periodo in Italia ci viene proposto il Cammino Sinodale, che vuole farci crescere in uno stile di ascolto, di accoglienza, forma vera della comunità. Questo stile di ascolto ha i suoi strumenti: uno importante è il metodo della “conversazione spirituale”, ossia un modo di dialogare che può essere – e secondo me dovrebbe essere – applicato a ogni tipo di riunione nelle nostre realtà ecclesiali. Lo sottolineo perché sento come compito mio di Vescovo, ma anche di ogni cristiano, costruire una comunità che accoglie, ascolta, va incontro a ogni persona, sentendola parte di questa “compagnia di amici” per cui Gesù dà sé stesso, invitandoci a seguirlo e imitarlo.

"Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi". La nostra esistenza come vocazione. Ci ha scelti dandoci la vita, ci ha scelti come amici: da questo nasce una concezione della vita che mette in discussione la mentalità dominante, che il potere vorrebbe farci credere autentica. Si pensa che la realizzazione di sé coincida con poter fare tutto, senza nessun limite, anche verso sé stessi. Una libertà senza vincoli. Può sembrare affascinante ma, essendo irreale, si trasforma in schiavitù. Scegliendo una cosa, infatti, rinuncio alle altre. Per questo molti rinunciano a scegliere, o fanno scelte light, leggere, per poter magari tornare indietro appena si genera un dubbio. Ma l’equivoco sta alla radice. Se noi non ci facciamo da soli, dipendiamo. O riconosciamo di dipendere da Colui che ci ama, da Dio, oppure non smettiamo di dipendere: dipendiamo dalla salute, dal clima, dal governo, dagli altri, e così via. Senza riconoscere la nostra dipendenza come un dono, la viviamo ugualmente, ma come una disdetta, da esorcizzare, di cui liberarsi. Che bellezza c’è invece nel dare la vita per l’opera di Dio. Chiediamo al Signore che la gioia della Pasqua, della sua vittoria su ogni morte, rinnovi in noi l’impeto di amore che diventa impegno per costruire il bene di tutti. Buona Pasqua di Risurrezione. Vi benedico.

+ Giovanni Paccosi