CARLO BARONI
Cronaca

Strage, onori alle vittime Ma la verità è monca "Mancanza di coraggio"

Le parole di Giuseppe Chelli, superstite al duomo, nel giorno del ricordo. Fu lui, con le sue ricerche approfondite, a far riaprire le indagini nel 2000.

di Carlo Baroni

Onori alle vittime. Ma sui fatti manca ancora chiarezza e memoria condivisa. Oggi verrà concessa la cittadinanza onoraria sanminiatese alle 55 vittime della strage del Duomo del 22 luglio 1944. Parla Giuseppe Chelli, che in Duomo c’era quella mattima e che in Duomo perse il fratello Carlo. Chelli è stato colui che , lo ricordiamo, con ricerche capillari, alle soglie degli anni Duemila, rese possibile la riapertura delle indagini e il raggiungimento di quel nuovo copione che attribuì al fuoco amico la responsabilità del massacro per decenni attribuito all’esercito tedesco in ritirata. Un caso sul quale cittadini e politica sono sempre stati divisi. Quello di oggi è un riconoscimento che "vorrebbe rendere perenne il ricordo di quelle vittime, uccise da una cannonata, sulla cui paternità è nata la speculazione politica che dura tutt’oggi" dice Chelli.

Ma perché?

"La mozione, votata a maggioranza dal consiglio comunale, non attribuisce, infatti, la strage alle forze militari alleate, ma preferisce continuare nella narrazione delle due memorie, quelle, appunto, espresse nelle lapidi al MuMe. Se questo succede, la vera causa sta che “i fatti del Duomo” non sono stati mai indagati scientificamente o approfonditi in ogni aspetto".

Le ragioni?

" Il materiale raccolto dalle commissioni d’inchiesta italiana ed americane altro non sono che racconti sparsi dei superstiti, i quali riferiscono le loro personali sensazioni: narrazioni prive di riscontri oggettivi e di raffronto. E’ mancata nel tempo un’indagine veramente scientifica che avrebbe dovuto e potuto rispondere ai dubbi che venivano formandosi. La sinistra e più precisamente il Partito Comunista Sanminiatese, al governo del Comune dal 1944, non ha avuto mai alcun interesse a cambiare le versioni italo-americane. Anzi non gli è interessato neppure conoscere la verità, non era tra le priorità politiche. Per il Partito Comunista era (ed è stato) politicamente più vantaggioso il “gelido eccidio tedesco”".

E allora?

"Allora, l’indagine espletata da esperti balistici, da team medico-legali, doveva essere intrapresa dalla istituzione religiosa (curia, capitolo, vescovato) direttamente coinvolta e danneggiata. La chiesa diocesana, per più ragioni, doveva sentirsi obbligata a ricercare i responsabili di quell’eccidio. Che il vescovo Giubbi fosse innocente lo sapevano. La confessione resa, spontaneamente al cardinale Elia dalla Costa il 27 agosto 1944 con la lettera: ”…Creda Eminenza, che fu una giornata indescrivibile…Il Signore permise che io fossi assolutamente ignaro di quanto sarebbe avvenuto… fui indirettamente strumento di questo eccidio per aver impartito ordini che mi vennero fatti impartire…”. Quello poteva essere il punto di forza che impegnava le istituzioni diocesane nella ricerca della verità contro, ogni ostacolo da qualunque parte venisse. Forse la chiesa mancò di coraggio, oppure volle evitare un probabile scontro con chi sosteneva la tesi tedesca".