Niente estradizione per il ladro, "carcere disumano in Romania"

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del legale dopo che la Corte d'appello aveva dato il via libera

Tribunale

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Pontedera, 31 gennaio 2019 - La Cassazione ha fermato l’estradizione di C.S, 37anni, rumeno che da tempo vive in Italia e nella nostra zona. L’uomo ha rischiato di finire nelle patrie galere sull’accoglimento – da parte della Corte d’appello di Firenze –, della richiesta del governo della Repubblica della Romania, paese dove il 37enne è stato giudizto responsabile di plurimi reati di furto. Gli ermellini hanno accolto però la tesi difensiva dell’avvocato Nicola Giribaldi incentrata sulla valutazione del profilo della possibile sottoposizione degli estradandi a trattamenti contrari alla dignità umana dello Stato richiedente e la mancanza dei requisti minimi previsti dalla legge italiana in materia di detenzione carceraria. In buona sostanza. il carcere rumeno, con i suoi spazi da tre metri quadrati per detenuto, non offre garanzie accettabili specie alla luce di quanto più volte, e anche recentemente, affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Anche perché quei tre metri – nota il legale nel ricorso accorto dalla Corte di legittimità – sono virtuali: "la superficie netta disponibile, sottratta a quella lorda lo spazio per il letto ed un armadietto, risulta essere inferiore ad un metro quadrato pro capite, Inoltre dalle informazioni attinte i detenuti non hanno acqua calda salvo che per un breve periodo in tre giorni alla settimana".

E le informazioni, prima delle eventuale consegna alle carceri rumene, dovevano avere anche un approfondimento supplementare per verificare il rispetto dei diritti fondamentali dell’interessato e la palese violazione dei diritti «doveva essere tenuta di conto nella decisione». Integrazione indispensabile che a quanto pare è mancata.

Un ricorso tutto in punta di diritto, quello dell’avvocato Giribaldi, che ha richiamato i doveri fondamentali, stabiliti dalla Corte di giustizia, secondo i quali lo Stato membro di esecuzione è tenuto ad accertare concretamente «in relazione alla persona richiesta in consegna l’esistenza di un rischio collegato al divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti. E una volta accertata la sussistenza di un rischio concreto, sempre lo Stato estradante deve «svolgere un’indagine mirata, volta a stabilire se, nel caso concreto, l’interessato sarà sottoposto a questi trattamenti». «Tale rischio non solo non risulta escluso – ha concluso nel ricorso il legale chiedendo l’annullamento della sentenza – ma addirittura confermato dalle informazioni delle autorità rumene». La Cassazione ha accolto queste argomentazioni. E ha annullato la sentenza. Il ladro rumeno non lascerà l’Italia.