REDAZIONE PONTEDERA

Pontedera, terra di contadini e allevatori

Le notizie agrarie sulla comunità di Luigi Bagnoli e i conigli da record. Un racconto apparso nel 1829 che ben descrisse il territorio

Il sole sulla nostra terra, oltre ad illuminare il mercato, le botteghe e le fabbriche per moltissimo tempo, ha “inondato” la campagna che circondava Pontedera e la “assediava” con la sua bellezza. Questa per dare i suoi frutti però aveva bisogno di tanto lavoro, sudore e sacrificio e a volte non bastava. Per avere alcune informazioni su questo tema negli anni in cui l’agricoltura era ancora preminente, bisogna sfogliare il prestigioso Giornale Agrario Toscano, edito a Firenze, “compilato” da Raffaele Lambruschini, Lapo De Ricci e Cosimo Ridolfi.

Nel 1829 compare un articolo (con una “continuazione” nel 1830) dal titolo “Notizie agrarie sulla comunità di Pontedera” dove “Il sig. Luigi Bagnoli perito stimatore” trasmette “un esteso ragguaglio di notizie agrarie”: “La comunità di Pontedera ha una estensione di circa 133000 quadrati, tre quarti dei quali in pianura, ed un quarto in placida collina, ed è confinata dalle comunità di S. M. a Monte, Monte Calvoli, Calcinaia, Vicopisano mediante il fiume Arno, e da quelle di Cascina, Lari, Ponsacco, Palaia, e Montopoli”. “La Comunità contiene una popolazione di circa 7590 individui divisa in 171 famiglie coloniche, e 1220 famiglie abitanti nei paesi di Pontedera, Monte Castello, la Rotta, le Fornacette e Gello di Lavaiano; le famiglie però dei contadini sono numerose d’individui, essendovene fino di 24 persone. Il carattere dei contadini è docile e rispettoso, molti sanno leggere e scrivere, son diligenti ed assidui nel lavoro, e molto industriosi nel traffico del bestiame; anche le donne vangano e zappano, e fanno le altre rusticali faccende, meno il potare. Il nutrimento loro in generale è pane di saggina, fave e granacciata; poche famiglie mangiano la carne due volte la settimana, e non tutte una volta; negli altri giorni si cibano di erbaggi del podere, civaie, formaggio, ed anche di salumi. Bevono il vino stretto e l’acquerello, e conservano il vino buono per l’estate al tempo delle raccolte dei cereali, per eseguir le quali, siccome raramente bastano gli individui della famiglia, sono obbligati a gravi spese per supplire a tali faccende. Il loro vestiario si potrebbe dire elegante anzichè no, specialmente nelle donne. I capitali di mobilia, attrezzi rusticali ed altro, appartenenti alle famiglie coloniche, possono valutarsi fino a lire 1600; vi sono però delle famiglie povere che non arrivano ad averne per lire 500.” “ I terreni sono arenosi, e di due qualità, gentili, e grossi, trovandosi in alcuni luoghi dell’argilla tenacissima che chiamano Pancone. La cultura è di viti e pioppi nel piano, e ulivi in collina oltre al seminativo nudo, del quale oggi però rimane poca quantità. L’estensione media dei poderi affidati ad una sola famiglia colonica è di circa quadrati 80 di misura toscana. La rotazione agraria nella pianura vitata è di tre anni, nel primo dei quali seminano granturco, o vecciato sulla vanga, nel secondo grano, nel terzo granacciata, segale, o vena. Nei terreni lavorativi nudi il periodo comprende 4 anni, cioè il primo maggese, il secondo grano, il terzo granacciata, il quarto vena”. “Il bosco ceduo a quercioli, del quale vi è poca quantità, è tagliato nel periodo di 8 a 10 anni, ed è destinato a carbone, e più spesso a cataste. (…) Il contratto colonico è lo stesso che si usa generalmente in Toscana; la fertilità però del suolo permette spesso al contadino di pagare nell’ingresso al podere la metà dell’importare delle stime morte al vecchio colono. Il vino stretto resta al contadino, e questo suol dare al padrone da 5 a 10 barili di vino buono ogni 100 che ne abbia levati dal tino. La spesa di conci, pali e canne è a metà fra il padrone e il contadino”.

Michele Quirici