Picchiò a morte il marito, pena confermata

Diciotto anni di carcere per Bodgana Marinova Vessellinova. Sul corpo del consorte i segni di 22 lesioni

Bodgana Marinova Vessellinova

Bodgana Marinova Vessellinova

Pistoia, 11 febbraio 2020 - L’impianto accusatorio ha retto fino alla sentenza d’appello, pronunciata ieri mattina, e ha superato, con la comprensibile sorpresa della difesa, la perizia disposta dagli stessi giudici della Corte d’Assise d’Appello per poter stabilire se l’infarto che aveva colpito l’ex vigile del fuoco Antonio Molendi De Witt, che aveva 55 anni, fosse o meno la conseguenza dei ripetuti maltrattamenti inflitti, nel tempo, dalla moglie, Bodgana Marinova Vessellinova, 51 anni, di origine bulgara.

E, per il consulente d’ufficio, non lo era. Per lei dunque, tuttora detenuta a Sollicciano, è arrivata la conferma della condanna a diciotto anni di carcere per maltrattamenti aggravati dalla morte, ovvero come conseguenza di maltrattamento (articolo 572 del Codice Penale, ultimo comma).

Le motivazioni, che i giudici (presidente Mancini, giudice relatore Roberto Tredici), renderanno note fra sessanta giorni apriranno poi lo spazio al difensore, l’avvocato Alessandro Mencarelli del foro di Pistoia, per impugnare questa sentenza di fronte alla Corte di Cassazione e ripercorrere i motivi che lo avevano portato a ricorrere in appello: lo sbilanciamento fra le tesi del consulente della Procura di Pistoia e del consulente di parte: il primo, professor Marco di Paolo di Lucca, sosteneva che l’uomo fosse morto per le conseguenze delle percosse e il secondo, il medico legale Giuliano Piliero che, quella morte, di fronte a una condizione assai precaria di salute, sarebbe arrivata comunque.

La sentenza è arrivata dopo la deposizione in aula da parte del medico legale fiorentino Lorenzo D’Antonio, consulente nominato dai giudici d’appello dopo l’istanza dell’avvocato Mencarelli. Il dottor D’Antonio, nel rispondere ai quesiti, ha escluso quindi il nesso causale tra i maltrattamenti subiti dall’uomo, e l’insorgenza dell’infarto del miocardio, cosiddetto “infarto lento“, avvalorando quindi il punto focale della difesa.

La morte, per Antonio, sarebbe arrivata dopo quattro o sei ore. Ma su un punto il consulente è stato chiaro: in quell’arco di tempo, se Molendi De Witt avesse ricevuto un pronto soccorso avrebbe potuto essere salvato. Gran parte della discussione di ieri mattina ha ruotato quindi sulla successiva omissione di soccorso.

I giudici di secondo grado (è soltanto una nostra ipotesi), potrebbero aver ripercorso la traccia della sentenza di primo grado dove non era rilenvante tanto la causa della morte quanto questa fosse l’effetto di noncuranza e di abbandono di un soggetto debole e indifeso quale Antonio era.

Quella di ieri è stata dunque l’unica sentenza che la difesa non si aspettava dopo l’accoglimento della propria censura e di tutte le «doglianze» poi di fatto, così annullate. I giudici di primo grado, come si ricorderà, avevano riconosciuto anche la recidiva specifica: la donna, nel 2009, era stata condannata a Siena a un anno e dieci mesi (pena sospesa) per aver maltrattato l’anziana donna per la quale lavorava come badante. E ancora, a Pistoia, proprio nella via Ferrucci dove poi avrebbe conosciuto il marito, la Marinova era stata allontanata dalla nipote dell’anziana che accudiva, perché sospettata di averla picchiata. Le indagini su questa tragedia erano state svolte dalla Squadra Mobile della questura di Pistoia sotto la direzione del sostituto procuratore Giuseppe Grieco: «Ventidue le lesioni riscontrare sul corpo di Molendi De Witt – aveva sottolineato il pm nella sua requisitoria di primo grado –. Lividi, graffi e lacerazioni, che è logico ricondurre alle violenze inflitte dalla moglie».

lucia agati