ALESSANDRO BENIGNI
Cronaca

Ostetrica da Pistoia a Gaza: “Situazione distopica. Visite sotto le bombe, c’è bisogno di tutto”

La pistoiese Eleonora Bruni lavora nei teatri di guerra con Emergency. Da poco è tornata dalla Palestina, in missione nella clinica di Khan Younis. Sarà ospite al circolo Garibaldi per raccontare la sua esperienza

Eleonora Bruni lavora come ostetrica nei teatri di guerra con Emergency

Eleonora Bruni lavora come ostetrica nei teatri di guerra con Emergency

Pistoia, 7 maggio 2025 – Tutelare la salute delle donne e dei nascituri è di per sé un mestiere straordinario, farlo in uno scenario di guerra diventa una missione preziosa. Missione che porta avanti con ostinazione Eleonora Bruni, ostetrica pistoiese con un cuore grande e una generosità infinita, insieme ad Emergency dal 2010. Eleonora, che ha operato in diversi contesti difficili, dall’Afghanistan al Sudan, è da poco rientrata dalla Striscia di Gaza, dove ha lavorato per sei settimane come coordinatrice delle attività di salute materna e riproduttiva nella clinica di Emergency a Khan Younis, Un luogo in cui si continua a parlare di prevenzione, allattamento, parto e contraccezione, mentre pochi metri più in là si contano i morti sotto le macerie e si sopravvive in tende improvvisate. E venerdì sera dalle 21 sarà nella ’sua’ Pistoia, al Circolo Garibaldi in corso Gramsci, 52, come ospite all’interno del ciclo “I venerdì del cinema palestinese e non solo” promosso dal Comitato pistoiese per la Palestina (incontro preceduto da un’apericena italo-palestinese, con prenotazioni entro domani al 333 3552897 e ricavato devoluto all’asilo palestinese di Belt Reema), per parlare della situazione attuale nella striscia di Gaza, con foto e video dal campo. Eleonora, che situazione ha lasciato a Gaza? “Già venti giorni fa, quando sono ripartita, il quadro era critico: tregua finita, operazioni militari riprese, oltre un mese di blocco totale degli aiuti. Fatico a pensare come possano andare avanti ora: mancano l’acqua e il cibo, le evacuazioni sono continue, i bombardamenti non danno tregua. Definire la situazione drammatica è riduttivo: ho visto i colleghi visibilmente dimagriti, sono molto preoccupata”. E ora Netanyahu ha dichiarato che ’una massiccia invasione a Gaza’ è imminente... “La situazione era inconcepibile già prima, fatico a immaginare cos’altro possa essere fatto. È un contesto assai peggiore di altri in cui ho operato. La popolazione è stremata, sfinita. Il numero di morti è sottostimato, non riescono nemmeno a estrarre i cadaveri sotto le macerie. A fronte di tutto ciò, il silenzio della comunità internazionale è diventato assordante”. Eppure l’attività della vostra clinica a Khan Younis va avanti. Come? “Ci sono state grandi difficoltà fin dall’inizio. Dopo mesi di attesa per i permessi, a metà agosto Emergency è entrata nella Striscia di Gaza con l’obiettivo di costruire e aprire una clinica fissa per fornire assistenza di base alla popolazione, nella cosiddetta ’area umanitaria’, tra migliaia di rifugiati accampati in tendopoli di fortuna. Da gennaio la struttura è operativa, inizialmente per l’attività sanitaria primaria e in seguito per la salute riproduttiva. Il numero di accessi è progressivamente cresciuto arrivando a sfiorare quota 200 al giorno, con le esigenze più disparate. E tuttora andiamo avanti, appunto, anche se manca tutto: acqua, cibo, benzina, gas. Se la circolazione dei beni e degli aiuti non si sbloccherà, la tenuta del progetto è a rischio. Ma faremo il possibile per salvaguardarlo, perché è un presidio fondamentale”. Cosa l’ha colpita di più di questa esperienza? “Provare a cercare una sorta di normalità nello scenario distopico di una sorta di prigione a cielo aperto. Tanto da arrivare a visitare come nulla fosse con le continue esplosioni delle bombe che fanno tremare le pareti e il ronzio dei droni sulla testa, come se fossero banali rumori di sottofondo. E poi ci sono un paio di episodi”. Prego. “Un bambino di cinque anni, che è venuto in clinica un paio di volte accompagnato da persone diverse. Abbiamo scoperto che tutta la sua famiglia è stata uccisa, non ha più nessuno. Ed è stato ’adottato’ da altri sfollati. E un nostro infermiere locale, che una mattina è arrivato in ritardo a lavoro: poco prima sei suoi familiari erano morti sotto le bombe”.