
Eleonora Bruni lavora come ostetrica nei teatri di guerra con Emergency
Pistoia, 7 maggio 2025 – Tutelare la salute delle donne e dei nascituri è di per sé un mestiere straordinario, farlo in uno scenario di guerra diventa una missione preziosa. Missione che porta avanti con ostinazione Eleonora Bruni, ostetrica pistoiese con un cuore grande e una generosità infinita, insieme ad Emergency dal 2010. Eleonora, che ha operato in diversi contesti difficili, dall’Afghanistan al Sudan, è da poco rientrata dalla Striscia di Gaza, dove ha lavorato per sei settimane come coordinatrice delle attività di salute materna e riproduttiva nella clinica di Emergency a Khan Younis, Un luogo in cui si continua a parlare di prevenzione, allattamento, parto e contraccezione, mentre pochi metri più in là si contano i morti sotto le macerie e si sopravvive in tende improvvisate. E venerdì sera dalle 21 sarà nella ’sua’ Pistoia, al Circolo Garibaldi in corso Gramsci, 52, come ospite all’interno del ciclo “I venerdì del cinema palestinese e non solo” promosso dal Comitato pistoiese per la Palestina (incontro preceduto da un’apericena italo-palestinese, con prenotazioni entro domani al 333 3552897 e ricavato devoluto all’asilo palestinese di Belt Reema), per parlare della situazione attuale nella striscia di Gaza, con foto e video dal campo. Eleonora, che situazione ha lasciato a Gaza? “Già venti giorni fa, quando sono ripartita, il quadro era critico: tregua finita, operazioni militari riprese, oltre un mese di blocco totale degli aiuti. Fatico a pensare come possano andare avanti ora: mancano l’acqua e il cibo, le evacuazioni sono continue, i bombardamenti non danno tregua. Definire la situazione drammatica è riduttivo: ho visto i colleghi visibilmente dimagriti, sono molto preoccupata”. E ora Netanyahu ha dichiarato che ’una massiccia invasione a Gaza’ è imminente... “La situazione era inconcepibile già prima, fatico a immaginare cos’altro possa essere fatto. È un contesto assai peggiore di altri in cui ho operato. La popolazione è stremata, sfinita. Il numero di morti è sottostimato, non riescono nemmeno a estrarre i cadaveri sotto le macerie. A fronte di tutto ciò, il silenzio della comunità internazionale è diventato assordante”. Eppure l’attività della vostra clinica a Khan Younis va avanti. Come? “Ci sono state grandi difficoltà fin dall’inizio. Dopo mesi di attesa per i permessi, a metà agosto Emergency è entrata nella Striscia di Gaza con l’obiettivo di costruire e aprire una clinica fissa per fornire assistenza di base alla popolazione, nella cosiddetta ’area umanitaria’, tra migliaia di rifugiati accampati in tendopoli di fortuna. Da gennaio la struttura è operativa, inizialmente per l’attività sanitaria primaria e in seguito per la salute riproduttiva. Il numero di accessi è progressivamente cresciuto arrivando a sfiorare quota 200 al giorno, con le esigenze più disparate. E tuttora andiamo avanti, appunto, anche se manca tutto: acqua, cibo, benzina, gas. Se la circolazione dei beni e degli aiuti non si sbloccherà, la tenuta del progetto è a rischio. Ma faremo il possibile per salvaguardarlo, perché è un presidio fondamentale”. Cosa l’ha colpita di più di questa esperienza? “Provare a cercare una sorta di normalità nello scenario distopico di una sorta di prigione a cielo aperto. Tanto da arrivare a visitare come nulla fosse con le continue esplosioni delle bombe che fanno tremare le pareti e il ronzio dei droni sulla testa, come se fossero banali rumori di sottofondo. E poi ci sono un paio di episodi”. Prego. “Un bambino di cinque anni, che è venuto in clinica un paio di volte accompagnato da persone diverse. Abbiamo scoperto che tutta la sua famiglia è stata uccisa, non ha più nessuno. Ed è stato ’adottato’ da altri sfollati. E un nostro infermiere locale, che una mattina è arrivato in ritardo a lavoro: poco prima sei suoi familiari erano morti sotto le bombe”.