
"Opere idrauliche fatte". Ma non basta: "I danni?. Ci sarà una scia lunga"
"Ho letto svariate ricostruzioni in questi giorni in tema di vivaismo e salvaguardia del territorio: penso che innanzitutto dovrebbero trovarsi d’accordo su quel che vogliono dire. Da una parte soltanto campi allagati e danni, dall’altra i fossi che hanno salvato i vivai". E’ uno dei temi di maggior dibattito post-alluvione nel mondo del verde pistoiese, colpito il 2 novembre scorso, e prova a dare una risposta differente a tutto ciò Renato Ferretti (foto), storico dirigente della Provincia da qualche anno in pensione nonché coordinatore tecnico del Distretto rurale Vivaistico e ornamentale pistoiese dal 2004 al 2015 e oggi vice-presidente nazionale dell’ordine degli agronomi e dei forestali. "Da un lato è vero che la manutenzione dei fossi che fanno nei campi di loro proprietà è sicuramente un aspetto positivo – ammette Ferretti – però non dimentichiamoci che contribuiscono ad aumentare la quantità di acqua che si accumula in punti specifici della piana perché scivola via dalle serre e dalle vasetterie che hanno i nailon e i teli per terra". E proprio partendo dall’acqua dentro i vivai, in qualità di agronomo, abbiamo chiesto quali potranno essere le conseguenze per il settore.
"Le piante per vivere hanno bisogno di aria e di acqua – dichiara Renato Ferretti – ma se le radici rimangono sommerse a lungo in quest’ultima succede che muoiono. Di sicuro chi coltiva riso può star tranquillo, mentre le piante arboree hanno una tenuta massima di 36-48 ore: a questo poi si aggiunge la melma sulle foglie che va a bloccare la fotosintesi a livello aereo. Non dimentichiamoci poi di viti, frutti, ulivi che sono in pieno campo e potrebbero avere riportato conseguenze pesantissime senza sapere se, poi, sarà dipeso dall’alluvione o dalla siccità dei mesi scorsi. In più, ci sono le piante che erano in fase di crescita e dovranno essere pronte per la vendita fra 2 o 3 anni: chi perde quelle avrà un danno che non può essere quantificato adesso".
Per un occhio attento come quello di Ferretti, però, il problema non riguarda soltanto la Piana. O meglio, i danni causati in pianura hanno un unico colpevole: ciò che non viene fatto a monte dei torrenti e dei canali. "Di opere per contenere problematiche idrauliche ne sono state fatte tante negli anni – prosegue Renato Ferretti – non a caso in questa alluvione hanno rotto gli argini ed esondato torrenti piccoli, canali e rii, mentre Arno, Serchio, Ombrone, Sieve non hanno registrato criticità. Nelle scorse settimane mi sono ritrovato a passare dall’appennino faentino, colpito dall’alluvione della primavera, e la risposta a tutto è chiara già lì: 100 metri al di sotto del crinale si vedono già gli effetti del dissesto. Manca la manutenzione delle opere di regimazione idraulica e se questo non si fa alla fonte, poi a valle arriva di tutto: materiale terroso, fango, detriti, sassi di ogni dimensione, tronchi, piante intere perché non si controllano le briglie. Con quelle funzionanti magari la piena arriva a valle in quattro ore anziché in trenta minuti e c’è modo di arginare meglio il problema".
Ma la prevenzione costa? Sicuramente, ma meno delle risorse da trovare per le urgenze e le emergenze. "Al problema appena detto ci si aggiunge quello della viabilità – conclude Ferretti – in qualsiasi tipo di strada le zanelle ai lati della carreggiata non vengono mai ripulite e così, di fronte a grandi quantità di piogge, l’acqua va direttamente sull’asfalto, si infiltra nel terreno causando frane e smottamenti. E’ ovvio che il cambiamento climatico c’è, ma bisogna pensare alla prevenzione".
Saverio Melegari