REDAZIONE PISTOIA

Mestolate e schiaffi, condannata a sei mesi

La vicenda era emersa dopo la denuncia del padre di un ragazzo down che era ospite della casa-famiglia

Si è concluso ieri, dopo quattro anni e molte udienze, il processo che vedeva sotto accusa una ex operatrice sanitaria della Fondazione Maic (Maria Assunta in Cielo), che era stata accusata di maltrattamenti nei confronti di alcuni ospiti della casa-famiglia del centro. Il processo si è svolto davanti al giudice monocratico Alessandra Aiello che ha derubricato l’accusa in percosse continuate e condannato Daniela Tesi a sei mesi di reclusione (pena sospesa) e al risarcimento, a fronte di una richiesta di condanna a due anni da parte della pubblica accusa. Il caso è noto. La donna, che era difesa dall’avvocato Delica Del Carlo del foro di Livorno, era accusata di aver preso a mestolate sulla testa un ragazzo down e schiaffeggiato una donna sulla carrozzina perchè non teneva la schiena dritta.

Le indagini su questa drammatica vicenda, che si colloca nel corso della tarda primavera di sei anni fa, nel 2014, furono avviate dopo la denuncia del padre del ragazzo, che si è poi costituito parte civile nel processo, assistito dall’avvocato Pamela Bonaiuti del foro di Prato.

Gli accertamenti furono svolti dalla Squadra Mobile della questura di Pistoia, sezione reati contro le fasce deboli. A dirigere le indagini il sostituto procuratore della Repubblica Claudio Curreli.

Il difensore ha sempre sostenuto l’estraneità della sua assistita. La mancanza di lesioni e di segni delle percosse era, per l’avvocato Del Carlo, questione fondamentale nella sua linea difensiva.

In questo processo la Fondazione Maic compariva quale responsabile civile, rappresentata dall’avvocato Bologni del foro di Prato che ha annunciato il ricorso in appello.

Tre, come si ricorderà, gli episodi che erano stati contestati all’imputata dalla pubblica accusa.

La donna avrebbe colpito il ragazzo down con mestolate sulla testa perchè non si voleva lavare e avrebbe schiaffeggiato una donna in carrozzina perchè non teneva la schiena dritta. Avrebbe quindi lasciato, sempre secondo la pubblica accusa, il giovane down e un altro ospite con un grave ritardo mentale, sotto l’acqua molto calda, da soli e insaponati, mentre lei sarebbe andata a prendere un caffè.

A presentarsi negli uffici della questura fu il padre del ragazzo down: l’uomo si era insospettito da alcune frasi pronunciate dal figlio come "Picchia...Picchia col mestolo...calci negli stinchi, dillo ai carabinieri".

"Sono soddisfatta della sentenza – ha commentato ieri l’avvocato Pamela Bonaiuti – un risultato che si deve soprattutto alla caparbietà del padre del ragazzo".

l.a.