
La foto che ritrae tra gli altri Paolo Fischer: da questa foto sono partite le ricerche
Pistoia, 15 aprile 2019 - Ci sono casi in cui neppure il tempo aiuta a chiudere le ferite. Ma ricordare e ritornare in quei luoghi che hanno segnato l’esistenza, è l’unica cura possibile. Perché, come diceva Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Compirà un toccante viaggio all’indietro Massimiliano Fischer, oggi 75enne commercialista torinese, quando giovedì (ore 17) sarà a Pistoia per la presentazione dell’ultimo quaderno della collana ‘Storialocale’ - il numero 32 – a Palazzo de’ Rossi, sede della Fondazione Caript. In quel quaderno gli autori Camilla Reggiannini e Andrea Lottini parlano di lui, di ‘Max’, di come l’incontro avvenuto a Prunetta con il commerciante di scarpe Ernesto Bragognolo, detto l’americano per quel suo periodo di emigrazione negli Usa, gli abbia salvato la vita.
Settembre 1943, Max è appena venuto alla luce. È il primogenito Fischer, ma ha già una colpa, essere ebreo: per questo i genitori Otto e Vera decidono di non registrarlo come tale. Nel frattempo il calvario per padre e madre è già in corso da tempo: originari di Zagabria ma residenti in Piemonte, sono stati internati prima a Cuorgnè in Val d’Aosta, poi a Prunetta. Dopo quattro mesi, vissuti nell’incapacità di gioire appieno per la nuova vita, angosciati dalle notizie delle continue deportazioni, i carabinieri bussano alla loro porta: Vera viene arrestata e condotta prima a Fossoli, poi a Auschwitz, il campo del terrore e del non ritorno. Sarà solo grazie al coraggio di un uomo, Ernesto Bragognolo, e della moglie Margherita che quel neonato non verrà condotto insieme alla madre verso la deportazione. Nel frattempo anche la zia di Max, Regina, finisce ad Auschwitz, il babbo Otto fugge col fratello Paolo, ma intercettati vengono rinchiusi entrambi in un campo di detenzione.
Le amorevoli cure della famiglia Bragognolo, emigrata dal Veneto negli Stati Uniti e rientrata a Pistoia ma poi sfollata a Prunetta, impedirono per anni che il destino del bambino potesse essere segnato per sempre. La coppia si prese cura anche dell’anziana Teresa, altra componente della famiglia Fischer, per sette anni, fra Pistoia e Prunetta. È a distanza di qualche anno, nel 1951, che Max finalmente ritrova prima lo zio e poi il babbo. Tornerà a Pistoia adolescente prima di trasferirsi a Torino dove frequenta l’università e dove ancora oggi con il figlio Giorgio esercita la professione di commercialista. Il quaderno, dal titolo “Un paio di scarpe per la vita: il percorso della famiglia Fischer da Prunetta ad Auschwitz”, fa parte come detto della collana ‘Storialocale’ che è diretta da Claudio Rosati e Andrea Ottanelli.