
"Quando scoppia una guerra che cosa si fa? Uno Stato chiama i soldati al fronte. Ma qui è come se i soldati, pochi e sguarniti, fossero stati lasciati da soli a combattere una guerra senza le armi. Perché quella che noi medici di emergenza viviamo ogni giorno in pronto soccorso è una vera guerra. Lo dicono i turni, massacranti, quelli che stanno facendo scappare le giovani leve. Ad aprile un altro di noi si licenzierà, per andare a fare il medico di base, lasciando per sempre l’ospedale". Una lettera di denuncia con la minaccia di dimissioni in massa è un fatto unico, mai accaduto prima. La protesta dei medici di emergenza dell’Asl Toscana Centro si allarga. Intanto a parlare è uno dei firmatari del documento del Pronto soccorso di Pistoia. Che ci racconta i numeri di questa "guerra". Perché sulla carta, il reparto di emergenza pistoiese dovrebbe poter contare su 22 dottori, un numero nella realtà mai raggiunto. "Finché siamo stati 19 o 18 ce l’abbiamo fatta – spiega il medico – ma di certo ora non si può portare avanti un presidio così complesso, con soli 15 medici. Questo si traduce in turni massacranti, ma anche nella impossibilità di dare risposte adeguate alle persone. Perché è di questo che si tratta". Con 15 medici in turnazione, la possibilità di rispettare anche la normativa sul giusto riposo diventa difficile.
"Prima dovevamo fare 3 o 4 notti al mese – spiega il dottore – ora capita che si arrivi anche a 7 notti mensili. Poi, al termine del notturno, si dovrebbero avere due giorni di riposo, ma capita spesso che si venga richiamati in servizio, perché non c’è personale a sufficienza. Dovremmo lavorare uno, massimo due week-end al mese, ma invece siamo costretti a coprirne anche tre su quattro. Vuol dire vivere in pronto soccorso e perdere la lucidità e anche la motivazione".
Come sta accadendo a molti, soprattutto ai più giovani, che stanno lasciando il reparto per scegliere di fare i medici di famiglia, dunque abbandonando l’attività ospedaliera.
Eppure la soluzione ci sarebbe e il Covid lo ha insegnato. "Quando è scoppiata l’emergenza del nuovo virus – racconta il dottore – non ci abbiamo pensato su due volte: la direzione ha chiamato tutti a lavorare e nessuno dei colleghi si è tirato indietro. Eravamo tutti in prima linea, perché era scoppiata una guerra. Ma la guerra non è finita, anzi. Dopo il picco dei contagi, lo strascico del Covid aveva comunque diminuito gli accessi. Oggi siamo tornati a lavorare con un numero alto di richieste: bisogni diversi a cui rispondere, soprattutto quelli di pazienti anziani e cronici. Ma la differenza è che dall’altra parte, siamo molti meno".
La soluzione sarebbe "arruolare" i medici internisti, come si diceva anche nella lettera di denuncia, ma anche altre figure, come i medici del 118. "Qui si tratta di dare un segnale - spiega il dottore - basterebbe intanto mettere a disposizione alcune ore di servizio dei colleghi per farci rifiatare". Un capitolo a parte è quello della graduatoria dei medici internisti specializzati a cui è data la possibilità (ma sarebbe un obbligo) di prestare due anni di servizio nei reparti di emergenza. Una chiamata a cui sono pochissimi a rispondere.
"Degli 80 medici in graduatoria, solo uno ha scelto di venire a prestare servizio nel pronto soccorso di Pistoia. E gli altri 79 dove sono?", si chiede il dottore. Infine, i posti letto. A Pistoia come in tutti i pronto soccorso la cura dimagrante ha portato a una situazione difficile da gestire. "La riduzione è stata graduale, ma oggi siamo al collasso: non c’è personale e il reparto non può rispondere alla mole di richieste dal territorio".
Martina Vacca