Il signore delle cime. Abetone Nepal e ritorno. Chilometri nelle gambe per ritrovare se stessi

Fotografo pistoiese, Stefano Negroni, condivide la sua passione per la montagna attraverso le sue fotografie. Ha recentemente fatto un viaggio in Nepal con suo figlio, dove ha sperimentato un approccio alla spiritualità diverso. Tornato in Italia, condivide la sua esperienza e la sua passione per la montagna.

di Lucia Agati

PISTOIA

Scatto dopo scatto, ha avvicinato tante persone alla Montagna, soprattutto la nostra, che offre scorci che sembrano trasportati dalle Dolomiti. Le sue fotografie, oltre che sul suo profilo di Facebook, compaiono su uno dei gruppi più numerosi e longevi "La nostra Pistoia" che conta oltre ventiseimila iscritti. Una piccola missione fotografica quasi quotidiana, quella di Stefano Negroni, iniziata un giorno in cui, scendendo in bici da Arcigliano, vide la diagonale che unisce la cupola della Basilica dell’Umiltà, di Giorgio Vasari, a quella di Filippo Brunelleschi, a Santa Maria del Fiore, a Firenze. E scattò. Stefano dedica ai monti tutto il suo tempo libero. Non soltanto i nostri, ma anche quelli ben più lontani. E’ appena rientrato dal Nepal dove è stato due settimane con il figlio Laerte. E’ uno di quei viaggi che cambia qualcosa, dentro. Ecco il suo cuore aperto.

"Il nostro era un viaggio preparato già dal 2019, poi c’è stata l’emergenza sanitaria che ha fermato tutto e allora si è trasformato in un regalo doppio, per i miei cinquant’anni e per l’ottimo diploma di mio figlio Laerte all’economico sociale del liceo Forteguerri. Compirà vent’anni il 15 di gennaio e ora frequenta scienze motorie. Siamo stati via quindici giorni, dal 31 ottobre al 15 novembre. I contatti chiave per gli spostamenti li avevo stabiliti con un’amica del Nord. Non è stato soltanto trekking, ma l’opportunità di vedere un paese diverso e un approccio alla spiritualità. Nella prima parte del viaggio il campo base era a 4.500 metri, sul Mardi himal. E’ l’ultimo tratto della tappa perchè poi, dalle quattro alle otto, arrivano le nuvole e allora si rischiava di perdere la vista di tre degli ottomila: l’Annapurna, il Machapuchare e il Dhaulagiri. Tutto questo vivendo le vie alpinistiche che avevo visto soltanto al cinema.

"L’altura era ovviamente un’incongnita e mi sono dovuto preparare per questo. Sono andato per un periodo in quota in Val d’Aosta, così l’altitudine l’ho affrontata bene, con passo tranquillo. Abbiamo incontrato gente di tutte le lingue, persone arrivate da tutto il mondo.

"La cosa che mi ha affascinato di più è il loro modo di vivere la spiritualità. Ogni spunto, nel quotidiano, è buono per condividere canti e preghiere, in ogni ora del giorno. Abbiamo visitato templi buddisti e induisti. C’è un pensiero magico che avvolge tutto e ogni cosa è inebriante.

"Se avessi potuto sarei rimasto molto più a lungo, ma ho dovuto affrontare di nuovo la mia vita quotidiana. Al ritorno la sensazione è stata questa: è come se tu avessi trovato qualcosa di molto prezioso...e poi non ce l’hai più. In questi giorni rivivo il viaggio in Nepal attraverso le fotografie. Da ogni viaggio si torna cambiati e ci sono cose che mi hanno fatto riflettere tanto. Il popolo del Nepal ha un approccio caldo, allegorico, con la vita, e questa è una discrepanza che mi ha fatto tanto pensare.

"La presenza di mio figlio è stata importante anche per i giovani nepalesi che erano contenti di incontrare coetanei occidentali. E per Laerte è stata una esperienza enorme. L’ho sempre portato con me, in bici e a piedi, sulle Dolomiti. Il nostro motto è “Non ci posso arrivare, ma a piedi sì“ è questo lo spirito di adattamento che ci vuole. In altura l’autodisciplina è fondamentale. Abbiamo durato fatica e abbiamo raggiunto i nostri obiettivi. Sono contento che li abbia sperimentati.

"Ma la preparazione per i chilomenti nelle gambe e il fiato l’ho fatta tutta all’Abetone. Offre scorci meravigliosi e ci sono andato ogni minuto che avevo libero. Noi abbiamo paesi incantevoli come Badia a Taona, Posola, il Castello di Sambuca che sono il triangolo per farsi le gambe. Ci vado spesso da solo, anche se mi brontolano. E poi Campeda, che è di Pistoia, nell’Alta Valle del Reno.

"Quando sono alla mensa dell’Hitachi, che si trova sul retro dello stabilimento, alzo sempre gli occhi verso la Croce del Corno. Quando è ghiacciata riflette il sole, scintilla, e si vede.

"L’autunno poi offre un panorama di colori incomparabile. A volte ascolto musica, a volte cammino nel silenzio assoluto. Poi magari arriva un cervo. Più vai avanti e più scendi dentro te stesso. Rifletti e torni sempre più sereno. I chilometri li ho fatti da Pian di Novello all’Uccelliera, fino al Campolino e le Tre Potenze, il Lago Nero...fazzolettini di Dolomiti che sono stati trasportati qui. Negli anni ho sempre preferito il Cai, e con loro ho fatto le cose più impegnative come la traversata delle Apuane.

"C’è bisogno di essere educati, rispettosi, di non deturpare luoghi bellissimi. Poi dispiace vedere pezzi abbandonati, come il vecchio rifugio dell’Acquerino e il paesino di Sambuca, che era una perla. E camminare ti riporta a una dimensione più tua, porta alla luce tante cose che, nel tran tran, sfuggono".