
Primi giorni di serrande abbassate a Pistoia per effetto dell’entrata della Toscana in zona rossa e tra le categorie colpite non mancano le perplessità. In particolare a non spiegarsi il motivo della chiusura al pubblico sono i negozi di arredo che possono contare su fondi di ampie superfici e che già si erano organizzati per scaglionare gli ingressi della clientela. "I miei showroom hanno una superficie di 200300 metri quadrati e negli ultimi mesi entravano massimo sei persone alla volta e spesso su appuntamento – spiega Gino Menchi, titolare di Gi.Emme Cucine a Bottegone e di altri tre negozi di arredo –. Dall’altro giorno (domenica scorsa, ndr) tutti i miei negozi sono chiusi e vorrei chiedere al Comitato tecnico scientifico dove sarebbero i rischi di contagio in negozi come il mio!?". Menchi è titolare anche dei negozi Creo a Masotti e di Lube a Quarrata e in viale Adua a Pistoia. "Dicono a tutti che dobbiamo restare in casa. Va bene, ci adattiamo, ma a chi sta ristrutturando, chi si sta trasferendo non ci pensa nessuno? – continua Menchi –. La casa in questi momenti diventa un bene-rifugio. Già durante lo scorso lockdown molti clienti hanno vissuto mesi di ansia perché sono rimasti in piccoli appartamenti mentre stavano aspettando che finissero i lavori nelle loro nuove case. In alcune andava montata la cucina, in altre gli armadi e così via. Ora questa situazione si ripresenta tale e quale e non sappiamo nemmeno quando finirà. Non siamo più in grado di dare certezze ai nostri clienti".
Il titolare non si spiega dunque la necessità di chiudere al pubblico attività come le sue. "Non sarebbe stato meglio ridurre ancora il numero di clienti che potevano entrare in negozio e controllare che queste norme venissero rispettate? Così si sarebbe data a tutti la possibilità di lavorare", afferma Menchi. I dipendenti dei suoi negozi sono nove in tutto e per loro avanza il rischio di dover ricorrere alla cassa integrazione. "Dall’inizio di questa emergenza ho sempre sostenuto che non dovevamo mai vederci tutti insieme, per tutela della salute e perché altrimenti avremmo dovuto chiudere quattro negozi in un colpo solo – conclude Menchi –. Questa settimana stiamo smaltendo il lavoro arretrato, sia in smart working, per quanto riguarda la progettazione, che per le consegne. Ma dalla prossima non ci sarà più nulla da poter fare, presumo, perciò dovrò chiedere la cassa integrazione. E alla fine il 2020 sarà un anno irrecuperabile. Completamente in perdita". S.F.