REDAZIONE PISTOIA

"Ho sposato un masai per amore"

Mal d’Africa, difficoltà economiche, una figlia Vivono a Pistoia ma ogni anno tornano in Tanzania

A vent’anni la voglia d’avventura conduce come un comandante la rotta della vita: vivi col sole in faccia tutto quello che il giorno ti propone senza domande né preoccupazioni. A vent’anni anche Ilaria Beraldi – che oggi di anni ne ha 27 – non era poi tanto diversa. Con la differenza che in lei erano scolpite due cose: Zanzibar la prima, dove aveva lavorato in un villaggio turistico, Kashuma la seconda. Oggi Kashuma per lei, i parenti e gli amici di Pistoia è diventato Andrea, suo marito, pelle scura e sorriso affabile – "discriminazioni o razzismi qui in Italia? Nessuno – risponde lei –, le culture che si uniscono non possono che essere una ricchezza per tutti" – che prima di trovare nella nostra città la sua nuova casa ha vissuto con la numerosa famiglia nella savana, dieci ore dalla turistica Zanzibar, dove le abitazioni si reggono su fondamenta di fango e sterco di mucca e mancanza d’acqua corrente e di luce sono condizioni innate. È la natura che comanda, e non c’è niente di più normale. Nelle vene di lui scorre sangue Masai, antica popolazione nomade organizzata in clan, comandata da tradizioni e rituali quasi magici agli occhi degli occidentali.

"Sono arrivata a Zanzibar nel 2013 – ricorda Ilaria – il tour operator per cui lavoravo mi propose di fare tre mesi in un villaggio e accettai. Ci sono rimasta un anno e mezzo". Kashuma di giorno vestiva i panni Masai, spada corta alla cintura. Faceva il venditore a una bancarella in spiaggia. L’incontro scatta di sera in un locale dove Kashuma indossa abiti ‘civili’: "Fu tutto normalissimo – continua la ragazza postoiese – ballammo un po’, ci piacemmo. Come succede a vent’anni. Quando il giorno dopo lo rividi in tenuta Masai l’effetto fu strano, ma questo non mi allontanò da lui. Dopo qualche mese mi chiese di scendere a conoscere la famiglia nella savana. Accettai". Lasciata l’isola dalle acque cristalline, abbandonati i mega palazzi di Dar es Salaam, terraferma, Tanzania, il viaggio continua là dove sembra non cia sia neppure una strada, eppure c’è: una distesa di terra rossa che segna il confine tra ciò che è civilizzato e ciò che ancora vive di contaminazione con la natura e i suoi ritmi.

"La prima immagine che ricordo – si guarda indietro Ilaria – è quella dei bambini. Il sorriso semplice, la voglia di toccarmi la pelle e i capelli, là dove le donne hanno l’usanza di portarli rasati. Ero la diversa, la persona di cui quasi aver paura". Ma la paga a Zanzibar per Ilaria è troppo bassa e decide di lasciare. Torna in Italia per motivi familiari, poi approfitta di un’occasione di lavoro a Londra – "volevo inseguire il sogno di una carriera da cuoca" –, vi resta nove mesi. "Ma i contatti con Kashuma anziché scemare si facevano più intensi. Mi misi al computer e senza pensare comprai un biglietto sola andata per la Tanzania, con la totale disapprovazione della mia famiglia".

Mettere i piedi sul suolo africano non fa che confermare ad Ilaria che è stata la scelta giusta. Ma le difficoltà salariali per lei e Kashuma restano e i due decidono di ripartire. Stavolta per l’Italia, Pistoia. "Intanto avevo trovato un lavoro sicuro a Pistoia, più difficile è stato far arrivare Andrea qui. Solo grazie a mio padre, accortosi che la strada per la mia felicità era quella, è stato possibile chiudere il cerchio. Abbiamo organizzato il matrimonio in pochi giorni ed è cominciata la nostra nuova vita italiana insieme". Poi il matrimonio con rito Masai nel villaggio d’origine di Kashuma e l’arrivo della piccola Mia nel maggio 2018: "Siamo scesi dai nonni che Mia aveva un anno. È stato incredibile trovarla così a suo agio in quella situazione". La casa di questa nuova famiglia al momento resterà Pistoia: "La savana non è nei nostri pensieri – sorride Ilaria –. Forse Zanzibar, ma le paghe non sarebbero sufficienti a garantirci una vita dignitosa, e anche su istruzione e sanità c’è ancora molto da fare".

Linda Meoni