REDAZIONE PISTOIA

Fecondazione assistita "Niente trasferimento"

Il Tribunale del lavoro accoglie il ricorso del dipendente di un’azienda "Si tratta di un percorso terapeutico, è giusto che stia vicino alla moglie"

Il lavoratore che ha intrapreso con la moglie un percorso terapeutico per l’accesso alla fecondazione assistita non può essere trasferito di sede perché deve poter stare accanto alla coniuge in tutte le fasi del delicato percorso terapeutico. È quanto stabilito dal giudice del lavoro di Pistoia che ha dichiarato illegittimo il trasferimento di un 55enne, che l’azienda voleva assegnare a una sede fuori dalla Toscana.

Per il lavoratore, la comunicazione della società, attiva nel settore dalla grande distribuzione, è piombato come un fulmine al ciel sereno a fine agosto: trasferimento a una sede umbra a partire già dai primi di settembre. La motivazione sostenuta è stata quella ’tipica’ di questi casi. Nella lettera di comunicazione si faceva infatti riferimento a una riorganizzazione aziendale dovuta al taglio del reparto in cui il dipendente svolgeva le proprie mansioni pur essendo stato impegnato, in precedenza, in altri.

Il tribunale ha accolto il ricorso del lavoratore ritenendo che il trasferimento, oltre a non essere motivato da reali ragioni organizzative, avrebbe provocato un grave danno alla sfera personale del 55enne e della moglie, che avevano da poco intrapreso il percorso di fecondazione assistita. "Il cominciamento del percorso di accesso alla fecondazione assistita – si legge nel provvedimento firmato dal giudice Francesco Barracca – impone perciò solo che il ricorrente sia vicino al proprio coniuge, non solo al momento dei singoli esami clinici, ma anche in tutto il percorso medico di preparazione". "Il trasferimento – prosegue il giudice – non comporta soltanto un mero disagio" poiché in questa circostanza "il mutamento delle sede lavorativa si ripercuote inevitabilmente nella sfera personale" della coppia.

L’azienda per cui lavora il 55enne, nell’opporsi al ricorso, aveva sostenuto tra l’altro che l’uomo sarebbe potuto restare accanto alla moglie, impossibilitata a trasferirsi poiché ha da poco avviato un’attività in proprio, usufruendo di ferie e permessi per essere presente nella fasi più importanti del percorso. "Il percorso di fecondazione assistita – spiega il legale del 55enne, avvocato Luca Magni – era stato considerato alla stregua di esami del sangue, ma non è così, perché si tratta di un percorso complesso. Oltre agli aspetti relativi all’organizzazione del lavoro, la giurisprudenza impone di considerare le condizioni personali del lavoratore, cosa che evidentemente il datore di lavoro non ha fatto. La battaglia – conclude l’avvocato Magni – non è comunque finita, visto che l’azienda ha annunciato ricorso".