
Alcuni lavoratori
Montecatini, 31 marzo 2016 - C’è attesa per l’incontro che si terrà stamani nel palazzo della presidenza della Regione a Firenze sulla chiusura del calzaturificio Balducci di Pieve a Nievole. Al tavolo per lo stato di crisi si confronteranno, alla presenza dell’assessore regionale al lavoro Gianfranco Simoncini, l’azienda e i sindacati uniti dei lavoratori, oltre al sindaco di Pieve Gilda Diolaiuti e al presidente della Provincia Rinaldo Vanni.
«Non vogliamo assolutamente che l’azienda venda il marchio a una società che lo dequalificherebbe di sicuro – dice Michele Gargini di Cgil – ma punteremo su un imprenditore serio e in grado di rilanciare il prodotto nel modo che merita, vista la professionalità che rappresenta ancora».
La preoccupazione di dipendenti e sindacati è che si possa dare spazio alle ipotesi ventilate dall’azienda poco prima della secca decisione di chiusura e che riguarderebbero contatti con una società che commercializza prodotti cinesi. Se il marchio dovesse essere ceduto a tale azienda, i lavoratori riceverebbero l’ultimo schiaffo dalla proprietà. I titolari avrebbero infatti contatti con una società marchigiana di import-export con la Cina e quindi disinteressata alla produzione. Se l’ipotesi non sarà abbandonata, il rischio è quello di vedere il marchio Balducci attaccato su scarpe cinesi a basso costo. Per la storia di qualità della marca nostrana sarebbe una vera capitolazione. «Anche per questo è stata costituita l’unità di crisi – conclude Gargini – per portare al tavolo delle trattative l’azienda e metterla di fronte alle proprie responsabilità. Impegnarsi a trovare un imprenditore capace di rilevare tutta la storia della Balducci con un piano industriale vero e la voglia di mettersi in gioco sarebbe una dimostrazione di grande impegno da parte della proprietà e di affetto per i propri dipendenti. Ci sono tanti margini ancora e il prodotto è buono. Per questo chiederemo alle istituzioni di attivarsi per esplorare il patrimonio produttivo che c’è in Toscana per non perdere il nostro saper fare che il mondo ci ha sempre invidiato».