REDAZIONE PISA

Timbravano i cartellini, ma non andavano a lavorare

Cinque dipendenti sono ancora in servizio,nonostante le indagini dei carabinieri

I dipendenti assenteisti restano al loro posto

Pisa 27 gennaio 2016 - Sono regolarmente al lavoro. In ufficio all’Università di Pisa. Loro sono cinque dipendenti finiti nel registro dell’indagati della procura di Pisa per truffa. Inchiodati da una serie di video e fotografie scattate dai carabinieri del nucleo investigativo mentre timbravano il cartellino e, poi, anziché recarsi nelle stanze del dipartimento in cui sono impiegati amministrativi, andavano a fare le loro commissioni. Una di loro, addirittura, la mattina usciva di casa alle sette, in vestaglia, passava il badge nella macchinetta rivelatrice delle presenze e se ne tornava comodamente nella propria abitazione a sbrigare le sue faccende.

Un’altra, invece, arrivava, parcheggiava l’auto fuori dal dipartimento, timbrava e, poi, andava a parcheggiare lontano da occhi indiscreti perché per non pagare la sosta utilizzava il permesso invalidi di un parente. Configurando così una doppia truffa, quella all’Università di cui è dipendente e quella alla società che gestisce i parcheggi a raso nel comune di Pisa. Un'inchiesta  partita alla fine del 2014 e conclusa dai carabinieri a luglio scorso quando hanno consegnato al pm titolare dell’inchiesta, la dottoressa Flavia Alemi, un’informativa dettagliatissima corredata di foto, video e fogli presenze forniti dall’Ateneo.

Ma, ad oggi, a nessuno di loro è stato notificato l’avviso conclusione indagini ex articolo 415 bis del codice di procedura penale. E, neanche, l’Università ufficialmente sa niente. «Quel che sappiamo – chiosano dall’ufficio del personale – lo abbiamo appreso dalla stampa. Per cui nei confronti di nessuno di loro è stato aperto alcun provvedimento disciplinare». In realtà tra i corridoi dell’Ateneo tutti sanno chi sono e qualcuno di loro è stato anche trasferito d’ufficio. «Ma in assenza di un provvedimento ufficiale – spiegano all’Università di Pisa – non possiamo fare diversamente». E, così nei loro confronti, la riforma Madia resta sospesa in un limbo.  

Tutto , come detto, è nato nel 2014 con le indagini dei carabinieri, inizialmente concentrate su una persona oggetto di una specifica denuncia. Anche se su questo c’è massima riservatezza perché potrebbe lambire il mondo della politica cittadina, coinvolgendo la parente di un assessore comunale. Da lì, eseguendo dei controlli a campione, i militari del nucleo investigativo si sono imbattuti in un’altra dipendente «infedele» ed hanno esteso le indagini. Così, oltre ad eseguire pedinamenti mirati, hanno anche installato delle telecamere nelle vicinanze dei dispositivi elettronici di registrazione delle presenze. ‘Occhi’ implacabili che hanno ripreso i cinque indagati (quattro donne e un uomo) mentre timbravano artatamente il proprio cartellino. Una condotta reiterata nel tempo e che, forse, per alcuni era un’abitudine consolidata.

Addirittura, una delle indagate, in un paio di occasioni aveva timbrato il cartellino alle 7 del mattino, per poi riuscire e svolgere una serie di commissioni insieme con il marito, compreso concedersi brioche e cappuccino al bar, prima di entrare effettivamente al lavoro. Un’altra, invece, è stata pedinata e fotografata, mentre entrava e usciva dal centro estetico non distante dal dipartimento dove è impiegata. Ma a sei mesi dalla consegna dell’informativa l’inchiesta è formalmente ancora aperta e i cinque continuano a restare al loro posto. Con buona pace del premier Renzi e della sua riforma del pubblico impiego.