
di Gabriele Masiero
I poliziotti gli sono piombati in ufficio, all’improvviso, e lo hanno arrestato ieri mattina davanti ai colleghi. In manette è finito un ufficiale giudiziario dell’Ufficio notifiche del tribunale di Pisa, Antonio Meloni, accusato di avere gonfiato le richieste di rimborsi spese con trasferte e ispezioni mai eseguite nel periodo compreso tra il 2014 e il marzo scorso. Il funzionario pubblico, in passato ha già avuto guai con la giustizia per vicende legate al suo ufficio e aveva già subito una sanzione disciplinare. Sono almeno 6mila i fascicoli sotto la lente degli investigatori della squadra mobile, coordinati dal pm Miriam Romano, e circa 2500 gli episodi contestati al funzionario pubblico, accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato e sostituzione di persona, che gli avrebbero fruttato indebiti rimborsi spese per trasferte mai avvenute pari a circa 26 mila euro.
Meloni è stato arrestato e rinchiuso al Don Bosco in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e la procura ha chiesto e ottenuto dal Tribunale anche un sequestro per equivalente dei conti corrente dell’indagato per le somme indebitamente percepite. L’indagine è scaturita da una segnalazione interna nell’ottobre scorso e gli agenti della squadra mobile, della sezione specializzata nei reati contro la pubblica amministrazione, insieme ai colleghi della sezione di Pg della Procura hanno spulciato decine di migliaia di documenti per ricostruire il modus operandi di Meloni, che aveva adeguato la sua infedeltà verso lo Stato, secondo gli investigatori, aggirando anche le norme anti-Covid imposte dalla pandemia che richiedevano l’accesso alle pratiche mediante appuntamento.
L’ufficiale giudiziario, infatti, ha rivelato il procuratore Alessandro Crini, "usava il suo cellulare per chiamare in ufficio e attivare pratiche fittizie simulando le voci degli avvocati delle parti coinvolte, poi compilava falsi verbali di esecuzione del proprio lavoro per intascare i rimborsi spese: l’altra faccia di questa inchiesta però è la massima collaborazione che abbiamo trovato nell’Ufficio notifiche, che sentiamo come un pezzo della nostra famiglia, e che ci ha dato tutto il supporto necessario". Il procuratore ha spiegato anche la scelta dell’arresto sul luogo di lavoro: "E’ stata una valutazione puramente investigativa per assicurarci che la perquisizione si svolgesse dove venivano commessi i presunti reati e senza correre il rischio che alcuni fascicoli potessero essere portati all’esterno dell’ufficio stesso".
L’inchiesta è stata necessariamente rapida per non far insospettire Meloni, ma le anomalie erano state rilevate degli altri dipendenti dell’ufficio Notifiche nell’aprile dello scorso anno a seguito di alcune verifiche interne e gli ulteriori controlli avevano appurato che nell’ambito di alcune procedure esecutive mobiliari e di sfratto – per le quali gli ufficiali giudiziari incaricati vengono attivati dall’avvocato della parte procedente per eseguire i provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria e percepiscono dallo Stato indennità supplementari per ogni singolo intervento – risultavano in numero superiore rispetto a quelle effettivamente svolte. E soprattutto era sempre Meloni l’ufficiale giudiziario incaricato.