"Strage di Ustica, quei resti hanno ‘parlato’ Né bomba né missile, fu ‘quasi collisione’"

La verità sul disastro secondo il professor Casarosa, ordinario di meccanica del volo all’università di Pisa e superperito nell’inchiesta

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di Eleonora Mancini

PISA

Ustica, 41 anni dopo e senza ancora una verità assoluta, neppure nelle sentenze, sulle cause dell’incidente che provocò la strage di 81 persone. Esiste però una verità ingegneristica, un racconto fatto non dagli uomini - in molti, invero, nei 41 anni di inchieste e misteri, hanno modellato e piegato i dati alle proprie ipotesi - ma dai resti, e cioè dal relitto, dalla matematica e dalle leggi fisiche. Quel racconto, nel recente libro "A tu per tu con il caso Ustica" (University Press), è stato raccolto e decifrato da un ingegnere, Carlo Casarosa, già professore ordinario di Meccanica del Volo all’Università di Pisa e direttore del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale. A Casarosa si rivolsero i pm del Caso Ustica, nel 1990, per recuperare il relitto dal mare, ricostruirlo pezzo a pezzo e studiarlo affinché … parlasse e raccontasse, appunto, la sua verità.

Casarosa, da 30 anni consulente del caso Ustica, ha analizzato ogni centimetro del DC-9 e ricusa le ipotesi di una bomba a bordo o di un missile, che hanno preso piede grazie alla narrazione giornalistica, forse più suggestive della ‘quasi collisione’, da lui sostenuta, documentata e raccontata da relitto, radar e ricostruzioni.

"In tutte le pagine della perizia tecnica in cinque volumi, tre dei quali scritti da me e depositata al Tribunale di Roma, non c’è mai scritto che si tratti sicuramente di una bomba, eccetto che nelle conclusioni scritte in 13 righe dai miei colleghi con i quali nacque un aspro confronto al termine del quale decisi di scrivere di mio pugno una nota aggiuntiva".

Professore, perché non può essersi trattato di una bomba o di un missile?

"E’ semplice: tra i molti frammenti che costituiscono il relitto che abbiamo recuperato, come è noto dopo molto tempo, impedimenti e strane circostanze, non c’è nessuna traccia di esplosione. Non è curioso che i vetri dei finestrini siano intatti proprio nel punto in cui ci sarebbe stato l’impatto del missile o la presunta bomba nascosta nella toilette?".

Lei parla di contraddizioni.

"Ciò che taglia la testa al toro sono le rotture rilevabili sul relitto: non sono di natura detonica, cioè provocate da esplosivo, ma elasto-plastica, dipendono cioè dal superamento delle caratteristiche di resistenza del materiale. Sul relitto ci sono sì contraddizioni: ci sono tracce di esplosivo senza che vi siano tracce di esplosione".

Come è possibile?

"Un esempio, sul Mig 23 trovato sulla Sila, ci sono i segni della testa di guerra di un missile. Tracce simili non si trovano invece sul DC9: ma c’è chi ancora si ostina a sostenere l’ipotesi missile. Le tracce di esplosivo trovate al momento del recupero sono frutto di contaminazioni e non di esplosione: le parti del relitto con quelle tracce erano state imbarcate sull’Andrea Doria che aveva fatto esercitazioni a fuoco fino a poco prima. Una situazione analoga riguarda alcuni bagagli".

Cioè?

"Alcuni bagagli dei passeggeri recuperati dal mare furono fatti passare dal deposito dei siluri, risultato il punto della nave maggiormente inquinato da esplosivi, tanto è vero che alcuni sono risultati inquinati e altri no. Due borse, ad esempio, sono inquinate nella sola parte inferiore, quella forse a contatto col pavimento inquinato della nave. Tutto questo fu appurato dalle indagini del giudice Priore. Tra i componenti del collegio esplosivistico c’erano due specialisti della polizia criminale tedesca esperti in terrorismo; ci dissero: "dateci retta, non perdete tempo con la bomba, non c’è nessuna traccia evidente".

I giudici ne presero atto?

"Certamente. Le sentenze in campo penale sono state emanate indipendentemente dalle cause dell’incidente, mentre quelle in campo civile hanno ritenuto la presenza di traffico aereo intorno al DC-9 come causa dell’incidente. Fu inoltre esclusa l’ipotesi esplosione a bordo ritenendo invece plausibili quelle di un abbattimento mediante missile o ‘quasi collisione"’ entrambe compatibili con presenza di velivoli intorno al DC_9".

Professore, lei è l’autore di questa ipotesi. Come ci arrivò?

"Analizzando i dati senza pregiudizi. A un certo punto ci accorgemmo di una anomalia: la semiala presentava una rottura anomala che innescò quella serie di eventi sul velivolo, riscontrati nelle perizie, portandolo al disfacimento in volo. Il DC-9 aveva incontrato la scia di un altro aereo, che si nascondeva dai radar seguendo la sua rotta e che poi, forse perché visto da altri aerei in volo, vira all’improvviso. La collisione del DC-9 avviene con quella scia. Le ultime perizie radaristiche certificarono la presenza di altri aerei con probabilità compresa tra il 90 e il 100%".

La sua ipotesi fu criticata, ma ci sono casi simili?

"Sì, nel mio libro ci sono i documenti che attestano 120 incidenti nel mondo con oltre 300 vittime. Uno di questi riguarda proprio un DC-9, e dalla relazione tecnica sull’incidente si rileva come esso sia la la fotocopia esatta di Ustica: stesse indagini, stesse conclusioni. L’unica differenza è che quel DC-9 volava a bassa quota essendo in fase di atterraggio".