REDAZIONE PISA

Sottopagati, sfruttati e senza futuro "Mancano controlli e viviamo nell’ombra"

Ristorazione, beauty farm e università. Storie di giovani precari pisani: il reportage de La Nazione nel mondo sommerso della manodopera

In una città multiforme come Pisa c’è una realtà sommersa di giovani lavoratori precari o vittime di episodi di sfruttamento. Un cancro che lede i diritti fondamentali dei cittadini, estingue la fiaccola della speranza del futuro. È una realtà estesa a macchia d’olio che affligge un ampio arco di categorie. Dal mondo della ristorazione, passando per le beauty farm, fino al mondo della ricerca universitaria.

"Se vuoi lavorare qui non puoi avere bambini", questo il ricatto a cui è dovuta sottostare una giovane lavoratrice del mondo della bellezza, che dopo essere rimasta incinta è stata costretta a licenziarsi: "A quel punto la mia datrice di lavoro mi aveva imposto delle condizioni di lavoro inaccettabili – racconta la ragazza –. Appena rientrata dal periodo di maternità sarei dovuta passare da un full time a un part time di due ore al giorno. Un escamotage ideato dalla proprietaria per costringermi a dimettermi. Il mondo della bellezza non è per mamme".

Nel settore della ristorazione non sembra andare meglio. In due mesi C.S, chef di 33 anni, si è trasformata in una silhouette. "Nella cucina dove ho lavorato l’estate scorsa la cappa aspirante era rotta e i titolari non davano cenno di volerla far riparare. In soli due mesi di lavoro, ho perso molto peso fino a raggiungere 38 kg. Era come lavorare in una sauna con temperature che sfioravano i 40 gradi, ed io soffrivo di continui cali di pressione. Nelle cucine mancano controlli e i lavoratori sono costretti a continuare a sopportare tutto questo stando nell’ombra".

"Il datore di lavoro aveva stipulato un contratto a “grigio“, ovvero esisteva questo documento, ma io non lo avevo mai visionato né firmato – racconta S.S, 31 anni, riferendosi alla sua esperienza in un ristorante –. Ho preferito licenziarmi pur di non continuare a lavorare alle condizioni che mi erano state imposte e che non avevo pattuito: turni massacranti e paga in ritardo. Ad oggi sono disoccupato e non posso accedere ad alcun tipo di aiuto statale". A.N, 23 anni e O.V, 24 anni, hanno lavorato in un locale con una telecamera puntata addosso. "Con il pretesto di installarla per motivi di sicurezza siamo stati costretti a lavorare per un anno e mezzo con gli occhi del nostro titolare puntati addosso. Il “grande fratello“ ci seguiva costantemente in ogni nostro movimento, se ci fermavamo per cinque minuti per fare una pausa ci arrivava subito la chiamata del proprietario che ci obbligava a rimetterci subito a lavoro. Ci sentivamo spiati e la mancanza di fiducia nei nostri confronti era umiliante. Era un inferno, predevamo 800 euro al mese e lavoravamo 62 ore alla settimana".

Anche nelle università della città i giovani precari vivono una profonda instabilità, con poche prospettive per il futuro, come afferma A.D, ricercatore di 34 anni. "Dopo anni di sacrifici (lavori per mantenermi) e di riconoscimenti per i miei studi mi ritrovo a dover lottare per andare avanti tra un contratto e l’altro e la stabilità è un’utopia. Oggi mi ritrovo a casa disoccupato, sto percependo il reddito di cittadinanza, con il quale a malapena riesco a pagare l’affitto. Se la ricerca fosse un vero lavoro solido e ben retribuito ne farei sicuramente a meno. Siamo una generazione senza futuro che tenta di restare a galla".

Ilaria Vallerini