Tutto era iniziato la sera prima, con una lite al bar. Poi, due uomini sono entrati in casa sfondando la porta della camera da letto. Armati di un martello e un cacciavite, "hanno aggredito mio marito, colpendolo al fegato e alla testa, lesionandogli l’arteria temporale e provocandogli un ictus. Gli hanno fratturato un osso della tempia e danneggiato anche un polmone", racconta Viola Puccini, moglie di Kais, il trentenne originario della Tunisia, brutalmente aggredito nella loro casa a San Frediano a Settimo, nel pomeriggio di venerdì 11 ottobre. Viola, mentre rivive quei terribili momenti, lancia un disperato appello per chiedere aiuto: "Siamo soli. Ho due figli, uno di 18 anni e l’altro di 8, e non so dove andare", dice la donna. Kais si è svegliato dal coma due giorni fa ed è stato trasferito dall’ospedale di Cisanello, dove era ricoverato, a quello di Volterra per la riabilitazione. Si preannuncia un lungo percorso di recupero, ma, come spiega la moglie, "ora siamo senza casa. Devo dormire in ospedale e non so come fare – racconta – Ho lasciato i bambini dai miei genitori". Il marito, aggiunge, "è cosciente, ma non lucido. Ha subito una tracheotomia, non riesce a parlare e viene alimentato con un sondino. La strada per la guarigione sarà molto lunga".
Secondo quanto riferito dalla moglie, la tragedia ha avuto origine la sera precedente all’aggressione, il 10 ottobre, quando una discussione al bar sarebbe degenerata. Viola ricorda come i due uomini, armati di martello e cacciavite, abbiano fatto irruzione nella loro casa il giorno dopo sfondando la porta d’ingresso: "Non dimenticherò mai la rabbia e la cattiveria che ho visto nei loro occhi". Sul caso sono intervenuti i carabinieri della compagnia di Pontedera, che stanno indagando per far luce su quanto accaduto. Gli inquirenti, però, mantengono il massimo riserbo sulla vicenda.
Nonostante la gravità della situazione, Viola residente a Cascina, denuncia la mancanza di sostegno: "La casa dove vivevamo era in comodato d’uso gratuito, ma io sono sotto shock e non voglio tornarci. Gli aggressori sono ancora a piede libero. Nessuno mi ascolta o vuole aiutarmi perché siamo stranieri. Non so quanto tempo ancora dovremo restare a Volterra. I parenti ci aiutano come possono, ma anche loro hanno le loro difficoltà".
EMDP