In primo luogo perché nella raccolta c’è molto scarto, infatti solo il 6% della pigna è costituito dal pinolo. Un altro elemento è rappresentato dalla raccolta meccanizzata che è diventata molto costosa e quindi antieconomica.
Negli ultimi anni la produzione italiana è calata drasticamente anche per via dei cambiamenti climatici ovvero gelate fuori stagione, grandinate e mancanza di pioggia ma soprattutto a causa di un parassita molto resistente, il Leptoglossus Occidentalis, una specie di cimice originaria del continente americano e arrivata in Italia ai primissimi anni Duemila. Questo insetto vive alle spese dei semi delle conifere creando grossi danni alla produzione di pinoli. Anche insetti come le processionarie, ci racconta il professor Bonari, sono dannosi al pino. Inoltre le nostre pinete sono conservate per il loro aspetto paesaggistico e non come alberi che devono fruttare in pinoli e quindi non vengono attuati quegli accorgimenti che potrebbero aumentare la produzione. Sul mercato arrivano molti pinoli dall’estero: quelli asiatici sono i più economici ma non hanno le stesse qualità nutrizionali del pinolo di S. Rossore. Dai 900mila quintali di pinoli coltivati la produzione è scesa ai 90mila quintali mentre il consumo annuo italiano sarebbe addirittura di 4mila tonnellate.