di Giovanni Paolo Benotto*
E’ una Pasqua "strana" quella di quest’anno: ci scambiamo il solito saluto augurale, ma in realtà l’aria che respiriamo non è quella della pace inaugurata da Cristo risorto, bensì un’aria inquinata dal veleno della violenza e della guerra che allarga i suoi tentacoli di morte in aree sempre più vaste della terra. Che cosa significa dunque augurare buona Pasqua? Che cos’è la Pasqua per tanta gente che non fa più riferimento a Cristo morto e risorto? Non sta forse accadendo che la cultura imperante abbia già da tempo estromesso i contenuti della proposta cristiana dalla vita personale, familiare e sociale, pur non avendo avuto ancora il coraggio di depennare il Vangelo dal tesoro del patrimonio comune? In un contesto del genere, l’augurio di buona Pasqua finisce per essere svuotato del suo più profondo contenuto che è la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’egoismo, del dono di sé sulla pretesa di assoggettare il prossimo alle proprie visioni egoistiche; un contenuto che è radicato nella morte e nella risurrezione di Gesù che mostra a tutti l’amore del Padre che ci rende capaci di fare della nostra esistenza un dono d’amore. Un dono d’amore non astratto, bensì incarnato nella vita di ogni giorno. Prima di tutto in famiglia. E’ possibile educare i propri figli all’amore, quando i genitori stessi hanno come priorità la realizzazione del proprio "io" e non sono disposti a vivere quel "noi" che è indispensabile alla buona riuscita della vita coniugale e familiare? E’ possibile far crescere spazi educativi nella scuola se docenti e famiglie degli alunni non si aprono a un’alleanza educativa, dove non ci sia spazio per la contrapposizione, bensì si dialoghi alla ricerca di una formazione integrale dei ragazzi e dei giovani? E’ possibile che il lavoro non si muti in "mercato nero" della forza lavoro, come a volte accade, e ci sia invece il rispetto della dignità di ciascuno, con l’osservanza delle regole che garantiscono sicurezza e legittimità? E’ possibile che la politica non si imbarbarisca sempre di più, rinunciando alla vocazione che le compete perché nessun cittadino, uomo o donna, nativo o immigrato, non sia solo un problema in più, bensì una risorsa per la costruzione del bene comune? E’ possibile che il diritto ad esprimere le proprie idee non diventi sopraffazione nei confronti di chi la pensa diversamente e che la violenza nelle parole e nelle relazioni debba sostituire la forza intrinseca della verità e del rispetto verso tutti? E’ possibile che gli strumenti necessari perché ciascuno possa esprimersi ed operare, comunicare e fare cultura non siano utilizzati da chi ha più potere per mettere a tacere chi è più debole, o diventino il "fine" al quale tendere per influenzare e condizionare l’opinione altrui? Credo che tutto ciò ed altro ancora, sia possibile, per dare vita a una società più vera e autentica, come soprattutto i giovani desiderano e chiedono insistentemente. La strada da percorrere è quella che poggia su una visione integrale della persona umana, base indispensabile perché le famiglie siano capaci di svolgere in pienezza la loro missione, e insieme, la società, nella scuola, nel lavoro, nella comunicazione, nello sport, nell’economia e nella politica, offra sempre più spazi di crescita armonica per tutti. Il mio augurio è che in questi spazi ci sia posto anche per il Cristo Risorto e per il suo Vangelo, perché là dove c’è spazio per Dio, c’è sempre anche spazio per ogni uomo e donna, ma là dove viene meno lo spazio per Dio, alla fine non ci sarà più nemmeno alcun spazio per l’uomo. L’invito che rivolgo a tutti è di dare più spazio, ciascuno il proprio spazio, per accogliere il Signore Risorto, perché a tutti possa giungere il dono della sua pace e del suo amore.
*Arcivescovo di Pisa