
di Antonia Casini
PISA
Si deve ripartire da capo, ma il tempo ormai stringe per il caso del buco milionario all’Ifc-Istituto di fisiologia clinica del Cnr, il Centro nazionale ricerche che si costituirà parte civile nel futuro procedimento (procuratore dello Stato Stefania Caporali). A settembre, infatti, gli atti sono stati rimandati al pm. Contestualmente all’udienza preliminare sono stati evidenziati due problemi. Mancava una notifica dell’avviso di conclusione indagine per una delle sette persone per le quali era stato richiesto il rinvio a giudizio. Inoltre, per un’altra non era stato eseguito l’interrogatorio chiesto dopo il 415 bis. Il 19 marzo del 2020, in piena prima ondata del virus, come molte altre, l’udienza era slittata ed era scattata la sospensione. Ma si rischia comunque, in parte, la prescrizione: per alcune delle contestazioni il termine massimo è di sette anni e mezzo.
Le perquisizioni della finanza nella sede di una delle strutture più innovative e avanzate del Cnr, a Pisa, risalgono a sei anni fa, era febbraio 2015 quando vennero sequestrati registri e documenti. Sotto la lente degli investigatori, in particolare, finirono gli ultimi bilanci (quelli 2013 e 2014 dove emersero - questa la ricostruzione - crediti per importi rilevanti mai incassati). Le verifiche furono sollecitate dall’attuale direttore dell’Ifc, Giorgio Iervasi, che presentò un esposto. La Procura, segue il caso il pubblico ministero Flavia Alemi, in quindici pagine aveva chiesto il rinvio a giudizio per Antonio Bellucci, Chiara Biagini, Marco Borbotti, Eugenio Picano (ex direttore dell’Ifc, che si è sempre difeso sostenendo che le firme sugli atti non sono le sue), Daniele Ferri, Simone Luzi e Cristiana Bracci che sarebbero coinvolti, con ruoli diversi, nella vicenda. Le accuse, a vario titolo, sono di truffa e falso ideologico e materiale. Ma si dovrà rinotificare l’avviso di conclusioni indagini e la richiesta di rinvio e fissare una nuova udienza dove il gup deciderà se e chi dovrà essere processato. Sotto accusa le convenzioni per progetti di ricerca fantasma, definiti "inesistenti, inappropriati o inesigibili" già in uno dei primi consigli di Istituto post terremoto. Le difese sostengono invece che non tutti fossero progetti farlocchi, da qui anche una diversa valutazione del danno. Da subito, furono due i filoni paralleli, l’inchiesta penale da una parte e l’indagine interna dall’altra. Ruolo centrale in tutta la storia sarebbe stato quello del custode Marco Borbotti (difeso dall’avvocato Giulio Venturi), poi diventato funzionario e responsabile dell’ufficio progetti grazie a un concorso interno al quale ha partecipato presentando un falso certificato di laurea: ha problemi psichiatrici che lo hanno portato anche in ospedale. La sua incapacità di intendere e di volere è stata dichiarata dal Tribunale di Pisa e, ancor prima, da quello di Firenze. È stato nominato anche un amministratore di sostegno. Adesso si trova al centro Basaglia e segue una terapia farmacologica importante, difficile, dunque, che possa essere imputabile. All’epoca era tenuto in grande considerazione nell’istituto nato come laboratorio, nel 1967. Fu il primo a essere licenziato non appena si scoprì che non aveva la laurea necessaria per l’incarico ricoperto. "Sì ho prodotto un certificato falso", aveva confermato a La Nazione che era andata nella sua casa a San Giuliano. Diversi i professionisti in campo per la difesa: l’avvocato Tullio Padovani, Stefano Del Corso, Donatella Siciliano, Domenico Accica e Donatella Panzarolo.