
di Carlo Baroni
PISA
Francesco Scieri, il fratello di Lele, parla di "giorno memorabile, perché è il giorno della verità per la quale abbiamo combattuto". Una battaglia che ha attraversato ben 24 anni ed ha visto protagonista una famiglia che non si è mai arresa. Ora c’è una sentenza che dice che Emanuele Scieri, il 26enne parà siracusano, trovato cadavere sotto un tavolo della caserma Gamerra di Pisa il 16 agosto 1999, deceduto da tre giorni, era stato ucciso. Non si era suicidato. La sua morte fu un omicidio. La corte d’assiste del tribunale di Pisa, all’esito di un lungo processo al dibattimento, ha condannato quelli che ritiene esserne stati i responsabili: Alessandro Panella, a 26 anni di carcere; Luigi Zabara, a 18 anni di carcere. A quest’ultimo – uscito dall’aula scosso e con gli occhi lucidi – i giudici, hanno riconosciuto una ridotta partecipazione all’evento.
Al fratello di Emanuele, un brivido gli ha attraversato la schiena durante la lettura del dispositivo da parte del presidente della corte Beatrice Dani. "Non ho ancora avvertito mia mamma che non ce l’ha fatta ad esserci – aggiunge –. La battaglia per Lele non è finita, ad ottobre ci sarà il processo d’appello per chi era già stato giudicato in primo grado nel 2021, e quello di oggi era un tassello importante anche in vista di quel processo". Panella (difeso dall’avvocato Andrea Cariello) e Zabara (assistito dagli avvocati Andrea Di Giuliomaria e Maria Teresa Schettini) erano finiti sotto inchiesta nel 2018, con una svolta nelle indagini della procura di Pisa che aveva coinvolto anche un terzo sottufficiale, Andrea Antico (assolto con rito abbreviato in primo grado) e dopo che già la commissione parlamentare d’inchiesta – presieduta dall’onorevole Sofia Amoddio – aveva concluso che Scieri non si era suicidato. Da qui nuovi approfondimenti e un copione accusatorio secondo il quale l’ex parà di leva sarebbe rimasto vittima di atti di nonnismo: teatro il piazzale sotto la scala di asciugatura dei paracadute della Gamerra.
Gli imputati, i "nonni", lo avrebbero picchiato anche dopo che lui aveva cercato una disperata fuga sulla torretta di asciugatura dei paracadute il 13 agosto, facendolo poi precipitare e morire, e nascondendo il corpo, appunto, sotto a un tavolo. Alle lettura del dispositivo era presente anche Alessandro Crini, già procuratore capo di Pisa, che insieme al sostituto Sisto Restuccia ha guidato tutta l’indagine portandola a processo: "Un caso al quale abbiamo iniziato a lavorare nel 2017 – ha spiegato Crini –. Non siamo mai soddisfatti di una condanna, diciamo invece che la soddisfazione di oggi è quella di aver dato una risposta alla famiglia". "Quando iniziammo le indagini – ha aggiunto Crini – fui subito certo che dovevamo fare qualche approfondimento in più e a questo ci siamo dedicati. Al di là del risultato di oggi". Relativamente alla tenuta dell’impianto accusatorio Crini ha sottolineato: "Il dispositivo ci dà un’indicazione, attendiamo la sentenza che di fatto è in linea con le richieste – ha concluso –. La leggeremo attentamente anche riguardo la riconosciuta attentante a Zabara". Per gli avvocati Ivan Albo e Alessandra Furnari, che assistono la famiglia Scieri, è emersoquello che è il contesto in cui va letta la tragedia: "Un qualcosa che va ben oltre il nonnismo, che di per sé non ha alcuna premessa di questo genere".
L’ultima udienza si è aperta con le testimonianze delle tre donne che dal 13 al 15 agosto di quell’anno conobbero e uscirono con un paracadutista che nel 1999 era in caserma e che a sommarie informazioni riferì di avere visto nella Gamerra – intorno all’una di notte – gli imputati ancora svegli. Tra ricordi sbiaditi sulla scansione temporale di quella breve vacanza, hanno comunque affermato di aver detto la verità quando furono sentite nel 2000, a nove mesi dal fatto: una sequenza di cui poco hanno memoria oggi. Era un passaggio chiave per valutare la testimonianza di chi disse di aver visto movimenti e presenze in caserma – messe sotto la lente dalla indagini – la notte in cui Lele misteriosamente scomparve dalla Gamerra. Per ricomparire cadavere. Ucciso.