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Galileo, un monaco e il giallo della cattedra di matematica

Quando lo scienziato, già famoso, "soffiò" l’insegnamento a Francesco Pifferi, camaldolese che scriveva di architettura militare. E spunta un manoscritto....

Galileo lo aveva "oscurato" e c’è da credere che gli abbia "soffiato" la cattedra di Matematica all’Università di Pisa. È una storia nella storia quella che viene ricostruita, dopo due anni di ricerche, da Salvatore La Lota Di Blasi, professore di Storia e Filosofia all’Istituto Arcivescovile Santa Caterina. Una duplice storia che è diventata un libro "Franceso Pifferi, monaco camaldolese. Un aspirante precettore alla corte dei Medici", pubblicato da Pacini Editore, e che riporta alla luce un manoscritto del 1602 e restituisce dignità al suo autore, il monaco camaldolese Francesco Pifferi, in qualche modo ‘vittima’ di Galileo Galilei.

Professore, iniziamo dal manoscritto che segna tra l’altro l’inizio delle sue ricerche e della sua duplice scoperta.

"Tutto è nato dopo il ritrovamento del manoscritto, un trattato di architettura militare scritto da Francesco Pifferi nel 1602 e dedicato al futuro Granduca di toscana, Cosimo II. Il trattato è rimasto per 419 anni sepolto inizialmente in un cassetto di un poeta veneziano da cui poi, attraverso diversi ‘viaggi’ è arrivato alla Fondazione Maria Luisa dei Medici. Nicola Molea, noto medico pisano e proprietario dell’enorme collezione medicea della Fondazione di cui è presidente Alexia Redini, mi consegnò il manoscritto chiedendomi di indagare".

Partì dal nulla?

"Sì, non esisteva nulla. Solo un elenco di suoi libri. Piano piano ho potuto ricostruire gran parte del profilo bibliografico di Pifferi che non era solo un monaco, ma un uomo eclettico. Era difatti anche matematico, esperto di astronomia e in ultimo si era dato alla scrittura di un trattato di architettura militare. Un fatto insolito per un monaco, ma forse dettato dal desiderio di ingraziarsi Cosimo per diventare precettore di corte".

E il suo rapporto di ‘competizione’ con Galileo?

"Pifferi aveva studiato a Pisa e fu allievo e poi sostituto nella cattedra di Matematica di Filippo Fantoni fino al 1588. Pifferi aspirava a diventarne titolare, ma nel 1589 la cattedra viene affidata a Galileo. Era usuale che le cattedre venissero date ai nomi più importanti che richiamavano tanti iscritti. Ma a Pisa, chi faceva materialmente le lezioni era Pifferi, perché Galileo, in grazia della sua fama, poteva permettersi il lusso di stare a Padova. L’unico incontro attestato con Galileo è del 1611, a Roma, a una serata astronomica in cui il principe Cesi, presidente dell’Accademia dei Lincei, presentava Galileo al pubblico. Pifferi morirà l’anno dopo".

Dal nulla lei ha ricostruito la storia di un personaggio finora sconosciuto. Chi era insomma Francesco Pifferi?

"Nasce a Monte San Savino nel 1548, data della quale ho trovato conferma in un ritratto del frontespizio di un’opera che lui aveva pubblicato a commento di un trattato di cosmologia medievale. Nel 1563 si trasferisce a Firenze dove diventa monaco nel monastero camaldolese di Santa Maria degli Angeli. Apparteneva a una famiglia patrizia che risulta iscritta nella mastra dei possidenti di beni fondiari dalla fine del 400".

A Pisa dove visse?

"Probabilmente nel convento di San Michele in Borgo oppure nell’abbazia di San Savino. Da qui, poi, si trasferisce a Siena dove nel 1594 diventa titolare della cattedra di matematica all’Università. È qui quando scrive il trattato e vive nel monastero di Santa Mustiola noto anche come ‘della rosa’, ecco perché lo chiamavano Francesco Della Rosa". Da questa ricerca è nato un libro, che significato ha? "Ricostruisce un passaggio della storia medicea. Si tratta di episodi e personaggi secondari che fanno da contorno a una storia più grande e meglio nota. Mi piace pensare che leggere questo libro sia come entrare nella macchina del tempo".

Eleonora Mancini