
Paolo, educatore 30enne: "Potrei essere espulso, appena arrivato gli agenti mi hanno seguito"
di Mario Ferrari
La sveglia è suonata molto presto giovedì mattina per Paolo (nome di fantasia per tutelare il protagonista della storia), 30 anni, educatore impegnato nel sostegno ai bambini con disabilità. Ma quella che potrebbe sembrare una comune partenza estiva da Pisa verso l’Egitto – con volo da Milano – non ha nulla del viaggio turistico. "So che potrei essere fermato, espulso, perfino arrestato dalle forze di polizia egiziane, ma è un rischio che ho deciso di correre per far sentire la voce del popolo palestinese". Con questo desiderio, infatti, il giovane si è deciso ad affrontare "un viaggio di 50 chilometri a piedi nel deserto, con tutto quello che serve sulle spalle, dormendo in tenda, senza lavarmi e con quasi 50 gradi", mentre si sono susseguite su giornali e tv le immagini dei suoi "compagni di viaggio", già arrivati in Egitto, che sono stati intercettati e contrastati dalle forze dell’ordine locali. Paolo è infatti tra le tremila persone arrivate da 54 Paesi al Cairo per la Marcia Globale a Gaza, la manifestazione "totalmente pacifica che non vuole violare nessuna legge" ma non autorizzata in programma domani. Un viaggio che dall’Egitto vuole arrivare in bus ad Al Arish, nel nord del Sinai, e da lì partire a piedi e con mezzi collettivi verso il valico di Rafah per "chiederne l’apertura immediata e consentire l’ingresso in Palestina degli aiuti umanitari e il passaggio sicuro delle persone in stato di necessità". "Inutile negare - spiega Paolo a La Nazione dal suo hotel al Cairo (nella foto un controllo in aeroporto) -, c’è molta ansia per la situazione ma sono convinto che ne valga la pena: dobbiamo accendere un faro sulla situazione di Gaza e portare al mondo la voce dei palestinesi che vengono uccisi quotidianamente. Non siamo certi che la Marcia partirà, visto che le autorità stanno provando in tutti i modi a respingerci". E le difficoltà si sono presentate fin dal primo istante in cui Paolo ha messo piede su suolo egiziano: "Io sono arrivato in un altro aereoporto apposta per evitare i fermi identificativi e mi sono fatto una notte di bus per arrivare al Cairo. Da lì, dovevo trovarmi con altri membri della nostra delegazione - continua - in una casa privata, ma imboccando la via che mi avrebbe portato al rendez-vous ho notato una camionetta della polizia. Gli agenti mi hanno squadrato dalla testa ai piedi e hanno iniziato a seguirmi. Ho girato i tacchi e sono andato via: due uomini in borghese mi hanno inseguito per oltre un chilometro finché non sono riuscito a nasconderci in un bar e scappare grazie a un Uber. Al momento la prassi è questa".
A peggiorare gli umori, le difficoltà comunicative con gli organizzatori: "Da due giorni - conclude il 30enne - si susseguono nelle nostre chat comunicati e avvisi che invitano a non andare in certe zone, spiegano come comportarsi con le autorità e informano sulla situazione. L’unica cosa che possiamo fare è aspettare e vedere se potremo manifestare: le nostre difficoltà non sono assolutamente nulla rispetto a quello che i palestinesi stanno vivendo ogni singolo giorno".