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Base Coltano, l'Ordine degli architetti: "Non si tramuti l'oro in stagno"

In una lettera aperta indirizzata alle istituzioni locali e nazionali, i professionisti chiedono una riflessione che tenga conto della idoneità di altri siti e diventi l'occasione per risolvere una volta per tutte la questione caserme

Marta Ciafaloni, vicepresidente Ordine Architetti Pisa

 

Pisa, 27 aprile 2022 - Con una lettera aperta alle istituzioni locali e nazionali, il Consiglio dell’Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori della Provincia di Pisa porta la propria voce e il proprio contributo nel dibattito intorno alla ipotesi di una base militare nell'area di Coltano. La voce dei professionisti si inserisce nel dibattito alimentato in questo mese da posizioni politiche come una voce fuori dal coro, tecnica, perché sintesi e di competenze, valori e visioni di cui appunto architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori sono portatori. Ecco il testo integrale della lettera inviata dal Consiglio direttivo composto da Patrizia Bongiovanni (presidente), Marta Ciafaloni (vicepresidente), Pietro Berti, Mario Bonamici, Alessandro Braione, Gabriele Cei, Matteo Gallerini, Alessandra Meini, Monica Neri, Rino Pagni, Chiara Prosperini. "Le aree del Parco sono una risorsa inestimabile per la quale si sottintende un programma di gestione e valorizzazione capace di preservarne l’habitat naturale al fine di migliorarci la vita. Fino ad ora non era mancato uno sguardo attento alle attività economiche, prevalentemente agricole e turistiche, e alle attività didattiche che avvicinano le scuole a questo contesto rigenerante; la comunità locale era riuscita a mantenere vivo questo ambito naturale, a non consentirne la distruzione e, un po' meno, a conservarne e valorizzarne gli elementi più rilevanti sul piano storico e culturale. Purtroppo, le vicende in corso denunciano la mancanza di un diffuso riconoscimento dei valori ambientali e paesaggistici e di quelli intrinseci e peculiari del patrimonio storico e monumentale che questo angolo di mondo racchiude. Riconoscimento accordato invece a livello internazionale dall’UNESCO, quale Riserva della Biosfera, e che rischiamo di… perdere. Valori che sono alla base della progettazione, che ne guidano le localizzazioni e le scelte. Dobbiamo essere chiari e onesti, tutti noi a Pisa. Dobbiamo capire dove stiamo sbagliando, comprendere perché così facilmente in questa città l’oro si tramuta in stagno, e riprendere le redini di una situazione urbana che, se non programmata per tempo nella piena responsabilità istituzionale, rischia di tramandare ai nostri figli l’ennesima caotica “occasione perduta” travestita da futuro. E iniziamo noi architetti col dire che questa incresciosa situazione creatasi all’interno di un Parco Naturale Regionale è il logico risultato di una annosa e diffusa inerzia verso la nota “questione delle caserme”. Da anni è più che evidente il disagio dei reparti militari che nel tempo hanno notevolmente mutato esigenze funzionali, operative e di addestramento, ormai costretti in strutture e ambiti, anche del centro storico, sempre meno idonei a soddisfare le specifiche esigenze di efficienza. Quando pensiamo a una base militare non possiamo immaginarla solo in tempo di guerra. L’apporto militare in tempo di pace è indispensabile e irrinunciabile, ed è tanto più funzionale alla sicurezza dei cittadini quanto più le strutture che accolgono i reparti sono in grado di offrire qualità degli spazi, funzionalità operativa, eccellente logistica. Fermi quindi sull’opportunità di realizzare una nuova base a Pisa, che anzi auspichiamo, certamente dobbiamo rilevare quanto appaia poco meditata la scelta di un sito così delicato e importante per Pisa, per il contesto circostante, per la Toscana, per l’Italia, per il mondo. La zona è marginale al Parco solo apparentemente; costituisce piuttosto un prezioso filtro tra la città e il cuore della riserva naturale. La nuova realizzazione prevede, di fatto, l’antropizzazione di un’ampia zona verde, prevalentemente coltivata, di 729.000 metri quadrati e la realizzazione di 440.000 metri cubi di costruito a varia destinazione, con un reticolo di viabilità e servizi per 400.000 metri quadri. In un’area fino ad oggi concordemente attenzionata sul piano della tutela da tutti gli Enti preposti in forza dei dispositivi normativi vigenti, tutto ciò appare evidentemente illogico , se non lesivo di un diritto oggettivo della società, ma anche e soprattutto anacronistico rispetto agli orientamenti della stessa Regione Toscana e agli indirizzi europei in materia di limitazione di uso del suolo a favore della rigenerazione di aree compromesse, degradate, o semplicemente abbandonate, interne o prossime ai lembi periferici di tessuto urbano. L’estesa area coltivata è posta di fronte ai coni visivi della Villa Medicea, al nucleo rurale di Coltano e al Poggio di Corniolo, lieve rilevato dove sorge la Stazione Radiotelegrafica Marconi, prima stazione italiana, una delle primissime stazioni transcontinentali al mondo, ancora affiancata dall’originario reticolo quadrilatero dell’antenna di quattrocentoventi metri per lato individuabile nella base dei piloni. Sull’area insiste il fabbricato dell’ex Centro Radar, le cui ridotte dimensioni certamente non motivano un’aggressione così estesa dei campi coltivati circostanti. Non possiamo non riflettere sull’incoerenza del progetto di fronte ai compiti che lo Stato si è ulteriormente impegnato a svolgere rafforzando la tutela dell’ambiente, di recente inclusa nella Carta costituzionale. Ricordiamo peraltro che dal 1969, un anno prima della Convenzione UNESCO, è stato istituito un Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che da allora ha profuso energie e impegno nella salvaguardia delle aree vincolate e, come si legge sul sito corrispondente, effettua“…mirati controlli sui siti paesaggistici e monumentali dichiarati Patrimonio dell’Umanità UNESCO, la cui rilevanza richiede un costante e approfondito focus per scongiurare interventi illegali che potrebbero pregiudicare lo stato stesso del sito”. Proprio nel massimo rispetto della dignità dell’Arma ci sentiamo di chiedere una profonda riflessione congiunta tra istituzioni al fine di giungere ad una soluzione coerente con il disposto normativo, altrettanto capace di soddisfare ogni esigenza funzionale e operativa. La stampa ha riportato alcune opinioni pronte ad abbracciare ogni proposta giustificando lo slancio con un presunto “sviluppo urbano” mediante la realizzazione di un progetto “ideato con i concetti dello sviluppo sostenibile, ricco di verde, parchi, musei…” e altro. Tutto questo…in un Parco, osserviamo. A tal proposito, pur apprezzando le intenzioni dichiarate dai proponenti, che auspichiamo possano realizzarsi a Pisa in un’area idonea e pienamente compatibile con le diversificate esigenze militari, evidenziamo che si potrà parlare di sviluppo di un’area e quindi della città che la ricomprende, se la sua evoluzione sarà correlata alla scelta delle soluzioni migliori, tese alla riduzione del consumo di suolo, all’aver contezza del patrimonio urbano disponibile, non utilizzato o degradato di proprietà demaniale e non, che possa rivelarsi funzionale allo scopo. E soprattutto, soddisfare le esigenze della collettività e dei singoli avendo cura del prezioso habitat naturale, incrementandolo piuttosto che depauperandolo. Come professionisti auspichiamo un progetto che concorra alla rigenerazione urbana e in cui prevalga la buona pratica collaborativa tra istituzioni. Se questo divenisse consuetudine in fase di programmazione degli interventi, sarebbe possibile mettere a sistema risorse economiche e ambiti urbani disponibili, con esiti più favorevoli per l’interesse pubblico e con effetto propulsivo per l’attività privata. Se osserviamo i migliori interventi di rivitalizzazione e riqualificazione delle aree urbane in Italia, ma maggiormente in Europa, notiamo quanto la prassi collaborativa sia ormai una consuetudine che caratterizza il buon esito degli interventi, l’inclusione sociale e la vitalità dei luoghi. La resilienza di una città non consiste nella cieca accoglienza di ogni proposta, ma nell’essere amministratori e tecnici pronti e duttili di fronte ad essa, consapevoli e capaci di individuare soluzioni che potrebbero anche rivelarsi maggiormente rispondenti alle esigenze espresse e alle aspettative della comunità".

Eleonora Mancini