REDAZIONE PISA

#ioleggopisano: Fabiano Pini fa il bis con un altro racconto

Torna anche oggi la rubrica dedicata agli scrittori "di casa nostra"

Fabiano Pini

Pisa, 7 maggio 2020 - Non si ferma #ioleggopisano, oggi ritorna Fabiano PIni con un altro racconto.

Chi è - Fabiano Pini è pisano DOC dal 30 aprile del 1966, anno della sua nascita. Nella sua adorata città, vive, lavora e scrive in quantità industriale. All’attivo ha già undici pubblicazioni tra narrativa e collane per bambini. Diversi i riconoscimenti fin qui ottenuti grazie a una scrittura semplice, intensa che colpisce nel vivo dei ricordi e nell’anima. Sempre pronto a raccogliere nuove sfide trovando sempre spunti e idee dalla vita quotidiana, dai fatti realmente accaduti, legandoli con la fantasia al punto da non capire dove inizia una e finisce l’altra.

Il trono del Re

E’ tutta la mattina che sento dei rumori strani. Ho addirittura azzerato il volume della televisione mentre facevo colazione per ascoltarlo meglio, ma poi ha taciuto. Per tutta la mattinata lavorativa, ho ricevuto ai padiglioni auricolari, quei rumori molesti riconosciuti dopo un po’, come pericolosi dolori di pancia. Anche i colleghi, una volta individuato l’origine del lamento, se ne stavano alla larga. Non sono riuscito a mangiare niente a pranzo, tranne un tè caldo, sperando di zittire quel brutto brontolio che iniziava a farsi sentire da parecchio lontano, oltre ai primi sentori di dolore. Poco prima della chiusura del lavoro, un picco di rumore tipo sirena d’allarme accompagnato da un’impennata di angoscia paragonato a un pugno nello stomaco, mi costringe a dei piegamenti da contorsionista per tentare di farli tacere, senza riuscirci; per fortuna, ero rimasto solo in ufficio. Con passi molto circospetti ma ancora in possesso delle mie capacità motorie, decido di partire, direzione, cesso di casa; arrivarci! Dopo un breve tragitto in cui la macchina sembra autoguidarsi perché conosce il tragitto, imbocco la superstrada che da Pisa arriva a Firenze; il muro del suono ampiamente superato, rendevano le altre auto che percorrevano alla normale velocità dei novanta chilometri l’ora, delle povere ciondolanti tartarughine. All’uscita Pisa Est, in puro stile rallystico con tanto di derapata, imbocco la bretella che mi porta sul cavalcavia in direzione Cisanello. Durante il tragitto fin lì coperto, molte scosse telluriche di media e alta intensità registrata dalla scala Mercalli, si sono fatte sentire con lunghe fitte al basso ventre e pure nell’abitacolo, dove un tanfo irrespirabile, mi fa aprire tutti e due i finestrini laterali anteriori. Per precauzione, accendo la radio a tutto volume: meglio passare per un tamarro che per un càone! Mentre metto la freccia per dirigermi lungo la discesa che mi porta alla rotonda di Riglione, arriva la prima scarica seria “Oimmènaa…proprio ora! Resisti, manca pòo!” Pensando ai tre chilometri che ancora mi separano dalla salvezza, mi costringo non so come, a fermare la macchina più per una reazione istintiva di irrigidimento muscolare delle gambe e delle chiappe, che dalla paura della velocità. Mi attacco al volante come un polpo allo scoglio, contraggo il viso in smorfie di dolore che in confronto Jack Nicholson nel film Shining, è un bimbo impaurito. Dalla bocca mi esce una specie di latrato lupesco al cospetto della luna piena. Stringo gli occhi e ancora le chiappe, sperando di contenere l’apertura improvvisa della diga, ma non sono sicuro di esserci riuscito. Arrivo alla rotonda, tenendo dietro una fila di auto nel frattempo aumentata sentendo le prime dietro di me, che iniziano a manifestare il loro malcontento della mia guida, con folte strombazzate di clacson accompagnate da una colorita serie di insulti. Inizia il panico! Invece di svoltare a destra in direzione casa, la strizza e la paura, mi fanno girare a sinistra “No! Ho sbagliato…perché!” Con ulteriore perdita di secondi preziosi come l’oro, faccio tutta la rotatoria praticamente con il volante appiccicato al muso come se i denti, fossero l’unico appiglio esterno del mio corpo a essere in grado di manovrare l’attrezzo girevole, mentre le mani, a turno massaggiano e premono sulla pancia, una sorta di bottone che possa spengere tutto. Dopo una curva stile ramaiolo, inforco la strada giusta e, con una condotta di guida stile “vecchio col cappello”, accelero e rallento per tutto il chilometro successivo. I clacson aumentano. Mentre un piede tremante tenta di convincere il pedale del freno a fare il suo dovere, ecco che arriva una seconda rombata; ma non dal motore della mia auto. “Omaammaa…no no, ora no, ti prego!” come se invocare la genitrice servisse a scongiurare qualcosa, ma non credo. Sento inumidirsi la parte molto bassa della schiena percependo una certa umidità, all’altezza dell’orifizio maledetto, ma non capisco se è quello che non deve essere o soltanto sudore da sforzo che mi sta inondando in ogni dove del mio povero corpicino tremante. Fermo l’auto, appoggio neanche tanto delicatamente la fronte sul volante, chiamando in soccorso ogni Santo del paradiso. Chiudo gli occhi, digrigno i denti sperando di non far saltare il ponte ricostruito giusto ieri, non faccio caso ai suoni imbestialiti degli automobilisti dietro di me ma una serie di colpi, tipo manata a cinque dita sul cofano posteriore, mi desta dal mio torpore facendomi aprire un occhio. “Chi è? Che succede?” chiedo rivolgendomi non so a chi. “Allora, lo vogliamo togliere questo catorcio o ti dobbiamo spingere?” un tanticchio innervosito , mi sussurra il proprietario dell’auto appena dietro la mia. Con la fronte intrisa di sudore, tolgo d’un colpo il piede sulla frizione spalancando il gas, lasciando come un baccalà nel bel mezzo dell’incrocio, quel malcapitato guidatore; adesso tutti gli altri, ce l’avevano con lui! La vista comincia a farmi dei brutti scherzi. Vedo in lontananza una serie di cessetti tutti schierati in fila per due che saltellano mano nella mano, come degli scolaretti in gita; ”Gesù…ho le allucinazioni!” No no, sono proprio gli alunni che attraversano la strada per andare alla palestra! Penso che dovrei rallentare se non voglio rischiare di fare strike come in una sorta di bowling stradale, invece mi attacco al clacson facendo una caciara infernale. “Via viaa..Spostateviii!” faccio uscire dai finestrini aperti la mia voce e anche una bella ariata di eau de toilette, non perfettamente uguale a Chanel numero 5 “Mi fa un baffo a me Marilin Monroe!” sventagliando un provvidenziale fazzoletto bianco di carta, trovato rovistando nella tasca laterale dello sportello. Alla rotonda successiva, non penso minimamente di soffermarmi per eventualmente dare precedenza, la percorro come essere su un normale rettilineo, beccandomi ulteriori clacsonate e pure alcuni vaffà..! “Un mi posso fermàà…abbiate pietà!” sussurro ormai allo stremo delle forze. In un continuo stringimento chiappesco con i piedi piantati sui pedali, le gambe si sono trasformate in una specie di paletti di cemento senza vita, impedendomi di condurre l’auto in maniera civile; sto zigzagando da una parte all’altra della mia corsia nel tentativo di giungere velocemente a casa ma penso che l’acceleratore o si anima di vita propria o la vedo dura di poterlo manovrare ancora. Arrivo a quella specie di rotonda a forma di banana allungata che già normalmente impieghiamo il doppio del tempo per percorrerla tutta, nelle condizioni in cui mi trovo, mi è sembrato di passarci una parte della mia vita su quella rotonda. “Ci tiro ir carzino oggi…un ce la faccio più!” Prendo l’uscita giusta e mi appare la Badia, stagliata nel cielo come una visione; sono gli ultimi cinquecento metri, i più lunghi. Poco dopo, l’incrocio sfalsato dalla visibilità impossibile a causa dell’erba alta dei campi, mi complica ulteriormente la vita. Sarà la vista della Badia, sarà l’illusione degli ultimi metri per giungere alla mèta ma, invece di darmi la forza necessaria per resistere, qualcuno incita il mio corpo a reagire nella maniera opposta “Oddio no! Mi si apre tutto!!” mi obbligo a fermare l’auto inchiodando di brutto nel bel mezzo della strada del penultimo rettilineo, lungo appena cento metri. Devo fare qualcosa, non posso andare avanti così, ma cosa? Sono a due passi dalla salvezza, perché non ci riesco? Premo ancora sulla pancia con tutte e due le mani, appoggiando la guancia destra sul volante. Bagnato fradicio dallo sforzo, socchiudo gli occhi più per proteggermi dal pizzicore provocato dal sudore, che dalla luce del sole che avvolge l’abitacolo, grazie anche al finestrino aperto. “Scusi, ha bisogno di aiuto?” sento in lontananza una dolce vocina che mi parla. “E’ la Madonna…vai, sono morto!” penso tra una pigiata e una rombata. Apro gli occhi e mi trovo davanti al finestrino, una tenera vecchietta che porta a spasso il suo cagnolino e che si degna umanamente di darmi conforto. “Si signora, ho bisogno di un culo nòvo!!!” I miasmi pestilenziali che ammorbano l’aria all’interno dell’auto, mi hanno annebbiato il cervello, facendomi dire e fare qualunque cosa senza tanti complimenti, rispondendo al limite della decenza. “Scusi?” l’incredula risposta e riparto nuovamente a razzo, facendo l’ennesima vittima giornaliera. Faccio l’ultima curva peggio di Gino ir briào il venerdì sera, rasentando il muro di recinzione della casa nell’altra corsia; per fortuna non sopraggiungeva nessuno nel senso opposto. Raddrizzo la traiettoria del mezzo viaggiante e inforco non so come, l’ultimo tratto di strada prima della salvezza. A metà viale, giunge quella che credevo fosse la botta finale. Un’arricciamento di organi interni chiaramente distinti, sfociano in un’apoteosi di fiammate violente da far paura alla festa del quattro luglio, tant’è che un vicino di casa intento a tagliare la siepe lungo strada, colto all’improvviso da cotanto rumore, si volta impaurito dalla parte dove sente il frastuono. Che vergogna, lo conosco pure! “Vai, macchissenefrega, ormai ci sono!” Parcheggio la macchina davanti casa, si spegne il motore dalla marcia ingranata lasciata di colpo. Apro lo sportello lasciandolo spalancato nel mezzo della carreggiata; meno male che è una strada poco transitata. Rimescolo nel marsupio nel tentativo di scovare le chiavi. Le trovo ma, ancora seduto, non riesco a scegliere quella giusta causa il tremore delle mani, il sudore che cola sugli occhi e l’immensa voglia di mettermi seduto sul Trono del Re! Provo ad alzarmi e un’ulteriore fitta sembra perforarmi gli addomminali. Ormai le chiappe sono diventate due pezzi di legno abbrustoliti e il maledetto fondo schiena, completamente ingestibile. Conficco la chiave nella toppa della serratura girandola freneticamente, spalanco l’uscio facendolo sbattere contro la sedia perennemente alla destra dell’apertura. Con passi tremanti e corti stile cinese con gli zoccoli infradito con i calzini, butto il marsupio sulla tavola sorreggendomi quando al tavolo di cucina, quando alla credenza. “Il cellulare!” esclamo. Non posso lasciarlo, devo averlo con me; è da ieri che aspetto la chiamata di Luca per organizzare la serata di domani. Davanti a me, l’ultimo grande ostacolo: le scale! “E come cazzo faccio a salille ora?” oramai le acque si sono rotte, neanche fossi una donna incinta. Raccolgo tutta la forza che sento di avere da qualche parte, convincendomi che, senza l’ausilio delle braccia, non riuscirò mai a salire. Faccio mente locale e con la forza di un maestro di Yoga, mi concentro: “Devi farcela, devi farcela…non mollare!” mi incito come un maratoneta alla volata finale. A ogni azione corrisponde una reazione, “ Ma proprio ora devo studià la Fisia?” Niente di più vero. A ogni alzata di piede per conquistare il prossimo scalino, corrisponde un rombante e spregevole dolore e colore che immagino stia disseminando lungo le scale. Una sorta di briciole lasciate da Buettìno. Ma non oso voltarmi, non c’è tempo! In un tempo indefinito, vedo davanti a me la porta, dove dietro di essa, troverò il paradiso. Mi aggrappo alla maniglia in preda a un pianto disperato, a dolori lancinanti e con un culo talmente dilaniato da… “Bè, no dai, non facciamo paragoni sessuali osceni!” penso. Frettolosamente sgancio la cintura, butto giù i pantaloni e mutande, mi giro in posizione strategica, prendo la mira eee…. “Giù, ora dai la via!!!” Fulmini e saette, petardi e tricchetracche, coriandoli e stelle filanti, un turbinio di canzoni da hit parade dell’ultimo Festivalbar e chissà quante altre mirabolanti strombazzate segnalanti che sono arrivato! “DRIIIN!” I guai si sa, non vengono mai soli. Neanche incominciata la parata militare che pure lui fa sentire la sua voce “Ma proprio ora? Sei stato zitto tutt’ ir giorno e porca miseria ora rompi?!” Devo rispondere però, se fosse Luca? Lo avevo infilato nella tasca davanti, nei pantaloni, adesso tutti arrocchettati per terra. Con la mano destra inizio un attento e preciso raccattamento dei tessuti , facendoli salire fino a sotto i ginocchi. Con la sinistra rovisto tra le pieghe cercando la tasca e nel mentre, il classico tonfo per terra del cellulare, lo percepisco come un’ulteriore cazzotto nella pancia “NO!” La mia furbizia, per niente attiva nell’ultima mezz’ora, mi fa scartare di lato con il piede nel tentativo di tastare il telefono e avere così, le coordinate giuste per raccattarlo. Lo spingo invece ancora più lontano, in direzione della porta “MA PORCA TROIA NOO!!!” Perdendo la pazienza con la mia stupidità, afferro il lembo della cintola e me lo ficco in bocca; adesso i pantaloni stanno su. Una mano la uso per scostare più possibile le braghe non tanto pulite, almeno credevo, dato che non le avevo ancora degnate di uno sguardo; ci mancava pure quello! Faccio uno sforzo fisico paragonato alle dodici fatiche di Ercole, nel tentativo di bloccare il flusso migratorio e avere le ultime risorse per darmi il coraggio di alzarmi. Ma così conciato e con la saliva che scende copiosa lungo la cintola, non posso fare granché. In una posa che rappresenta un’incrocio tra un riccio con tutti l’aculei sparati e un narvalo, ciondolo avanti e indietro nella disperata azione dell’agguanto telefonico. Ancora squilla! Lo prendo, “Alleluia!”, faccio marcia indietro nella medesima condizione, riappoggio il mio onorevole fondo schiena al freddo sedile del vaso e… “Brondo?” con la cintola ancora tra i denti, il culo che a ripreso il suo bel da fare, i dolori massacranti alla pancia maledicendo una serie infinita tra i Santi del paradiso, rispondo. “Buonasera signore. Sono della compagnia elettrica e vorrei proporle l’installazione, molto vantaggiosa per lei, di un’impianto fotovoltaico…” “MA PORCA PUTTANA ‘MBERVITA!!! A ME! IDRÁULIO DA DU’ GENERAZIONI, MONTO FOTOVORTÁICI DA VENTANNI E PROPRIO ORA MI TELEFONI PER QUESTO? MATTELOVAI…!!!” Bé, la modernità l’abbiamo voluta…