
I sentieri vecchi e nuovi vengono tenuti in ordine anche dal Cai (foto di repertorio)
Fivizzano (Massa Carrara), 25 ottobre 2018 - L’antica strada che da Monzone andava a Vinca, chiamata la Via dei Muli, è stata finalmente ripulita. A fare il lavoro, il Comune di Fivizzano che ha vinto un bando, emesso dal Parco Regionale delle Apuane, per la sentieristica e uno per il recupero della «Madonna Vecchia», un’antica chiesa sotto Vinca di cui rimangono solo ruderi. Il sentiero n° 39, è un percorso di circa 8 km, ripristinato anche attorno a quanto resta del «Castellaccio» ma è stato pulito anche il sentiero che porta all’Eremo di San Giorgio, la cui origine s’intreccia con le gesta di Filippo Caldani, bandito d’altre epoche di cui in zona si ricordano ancora i trascorsi.
«E’ un sentiero d’estrema bellezza – spiega il sindaco Paolo Grassi – molto suggestivo che percoso e visitato. Si snoda in una zona selvaggia e ricca di mistero dove visse il bandito Caldani». Narra la leggenda che Matteo Filippo Caldani, temuto bandito nella Lunigiana del Seicento, spadroneggiava con la sua banda di malfattori nella Valle del Lucido ,rifugiandosi dopo le rapine sui contrafforti delle Apuane. Folgorato da una visione, cambiò vita divenendo uomo di fede ed edificò un’eremo sotto la cima del Pizzo d’Uccello.
I documenti storici, riportano effettivamente che Matteo Filippo Caldani, nobile veronese, nell’estate del 1604, cambiò il nome con quello di Frà Giovanni Maria e iniziò una vita da eremita sui monti che sovrastano Aiola, nel fivizzanese e con altri confratelli costruì un monastero, l’Eremo di San Giorgio di Aiola che apparteneva all’ordine dei Servi di Maria, detti anche Padri Serviti. Un’eremo sorto su uno sperone di roccia, a 900 metri d’altezza, nei contrafforti del Pizzo d’Uccello. Il piccolo oratorio , grazie al lavoro instancabile dei frati, divenne un superbo edificio a due piani con una superficie di ben 800 metri quadri. Vi furono costruite 21 celle per i monaci e una chiesa divisa in 4 arcate per parte, sostenute da colonne lavorate a scalpello, con basi e capitelli. Nell’eremo la vita era di estrema austerità: la notte in preghiera, il giorno pesanti lavori per l’erigendo convento sorto su un’irto sperone di roccia battuto da violenti venti di tramontana e di libeccio.
Nel 1609 il papa Paolo V concesse l’indulgenza plenaria ai pellegrini che si fossero recati in penitenza in quel monastero dove, nel mezzo della chiesa si trovava il sepolcreto, scavato nella nuda roccia che forma il monte, per la sepoltura dei monaci eremiti, i resti dei quali non sarebbero mai stati rimossi e dovrebbero trovarsi ancora sotto i cumuli di macerie presenti in quel luogo isolato. Nel 1778 papa Pio VI sopprimeva la vita eremitica del Monastero di Montesenario, vicino Firenze, al quale l’Eremo di San Giorgio era collegato, decretando pertanto il “de profundis” per quest’ultimo. Il colpo di grazia venne con la soppressione napoleonica degli ordini religiosi all’inizio del XVIII secolo. Di quel convento che rappresentava una vera sfida alle avversità naturali, luogo di fede vissuta in condizioni estreme, non restano che poche mura sbrecciate, celate dalla fitta vegetazione tre chilometri sopra Aiola. Un borgo che il viandante Carlo Caselli definiva «la culla del sonno».