Pontremoli: Pasqua della tradizione Il parroco bussa tre volte alle porte Resiste il rito della ’Preparata’

A Codiponte si rinnova la cerimonia legata al ’giro delle sette chiese’ che a Tresana fu proibita dal vescovo. Dalla visita ai Sepolcri alla Via Crucis fino alla veglia. Ma c’è chi parla di residui pagani cristianizzati.

Pontremoli: Pasqua della tradizione  Il parroco bussa tre volte alle porte  Resiste il rito della ’Preparata’

Pontremoli: Pasqua della tradizione Il parroco bussa tre volte alle porte Resiste il rito della ’Preparata’

di Natalino Benacci

Alla domenica delle Palme il parroco ha bussato tre volte alla porta della chiesa e i fedeli, dall’interno gli hanno aperto, sventolando ramoscelli d’ulivo. E’ iniziata così la Settimana Santa pontremolese e ha preso il via un itinerario legato ai riti della tradizione. Pontremoli è città di chiese, parrocchie e confraternite dove il tradizionale sentimento religioso si esprime ancora attraverso la devozione popolare, scandita dalla liturgia del triduo pasquale. Dalla visita ai Sepolcri (oggi si chiamano altari della reposizione) alla Via Crucis, alla Veglia pasquale. La città conserva un prezioso repertorio di atti e scenografie che vengono ancora praticate: la “lavanda dei piedi“, il “batter Pilato“, il silenzio delle campane rimangono gesti e segni di uno dei periodi più intensi e ricchi di riti e celebrazioni dell’intero anno liturgico. Ma dietro le coreografie c’è chi vede anche residui pagani cristianizzati. "La partecipazione – spiega Paolo Lapi, studioso di liturgia – alle cerimonie del triduo pasquale non era solo devozione, ma anche la sottolineatura di una presenza laica a riti in via di estinzione. Oggi la Settimana Santa è diversa rispetto a quella codificata al Concilio del 1962 perché la liturgia allora teneva conto dell’acculturazione tra la devozione e le credenze popolari accettate dalla Chiesa. Basta pensare al mercoledì santo quando i fedeli in chiesa “battevan Pilato“, una specie di verdetto di condanna per il governatore romano che doveva essere punito: la gente andava in chiesa con un randello nascosto sotto i vestiti per evitare i controlli del sagrestano. Quando il sacerdote, iniziando il rito, accendeva i ceri si scatenava un fracasso causato dai colpi di bastone sulle panche. Il Giovedì Santo venivano legate le campane in segno di rispetto e per richiamare gente in chiesa venivano usate le raganelle dei ragazzi che introducevano la visita ai sepolcri e ogni famiglia nelle varie parrocchie allestiva i sepolcri più scenografici. "Venivano ingaggiati pittori che disegnavano sul pavimento immagini con gessetti o mosaici con fiori – aggiunge Lapi –. Ed erano allocate quinte scenografiche con le sagome raffiguranti i soldati romani sul calvario".

In uso ancora negli anni Cinquanta (soprattutto a Tresana) c’era la “Visita alle sette chiese“ e i sacrestani si mettevano d’accordo per non far incrociare le confraternite, che cantavano la “Preparata“. Una volta, a Tresana, dimenticarono la statua che avevano portato in processione e il vescovo proibì sul quel territorio la cerimonia. Ma oggi è ancora svolta a Codiponte. Il venerdì santo a Pontremoli i fedeli, oltre rispettare il digiuno, si recavano a visitare i sepolcri e percorrevano il tragitto verso l’altare in ginocchio. La processione del Gesù Morto era annunciata dallo scoppio di mortaretti. "Il Sabato Santo era pagano con la sfida dei campanili – conclude Lapi –: il primo campanaro che annunciava la resurrezione del Signore garantiva al paese grande prosperità. A Pontremoli c’era anche la corsa delle uova".