ANGELA MARIA FRUZZETTI
Cronaca

"Non ho più acceso il fuoco". Quelle ’donne del sale’ nel ricordo di Rosetta

Aveva 10 anni e con la mamma andava di notte a prendere l’acqua del mare "Era l’unico modo in quell’inverno del ’44 per avere qualcosa da mangiare".

"Non ho più acceso un fuoco in vita mia", ricorda Rosetta Pitanti, classe 1934, sopravvissuta all’eccidio di Guadine e testimone diretta delle ‘donne del sale’. E’ una delle testimoni del libro di Angela Maria FruzzettiVittime civili danni collaterali” presentato a Palazzo Ducale. Un appuntamento a cui Rosetta non è voluta mancare. Sulla sedia a rotelle ma forte e lucida. Dopo aver scampato all’eccidio di Guadine è tornata vivere al piano e, come detto, è l’unica testimone che può raccontare l’epopea delle donne quando facevano il sale, unica merce di scambio con i paesi oltre l’Appennino per qualche chilo di farina, per non morire di fame. Una testimonianza preziosa di lei, bambina di appena 10 anni, alle prese con i cavalloni del mare affrontati per catturare il sale nell’inverno 1944/45.

"Andavo in spiaggia con la mamma – dice Rosetta – quando il mare era in burrasca. Il mare in tempesta portava più sale, era più ricco. Avevo un recipiente di latta e quando arrivava l’onda grossa cercavo di riempirlo. Con l’acqua del mare si riempivano le damigiane fino all’orlo e poi, sopra un carretto, si portavano a casa. Purtroppo durante il tragitto succedeva di incontrare soldati tedeschi o fascisti che, per spregio, ce le spaccavano. E al mare, così, ci andavamo di notte, sperando di non incontrare i soldati".

Rosetta gesticola e soffre nel ricordare quel triste periodo della sua vita. "Bisognava accendere il fuoco nelle capanne, evitando di farci notare. Non c’era più niente da bruciare e usavamo rami freschi, che schiumavano. E io sempre a soffiare sul fuoco per ravvivare la fiamma. In quella baracca piena di fumo, mio fratello girava l’acqua dentro un grosso recipiente di latta, per tutta la notte fino a che l’acqua evaporava lasciando sul fondo strati di sale. Un sale di colore scuro che mia mamma e tante altre donne coraggiose – anche in età giovanissima –portavano oltre le Apuane per ottenere al cambio un po’ di cibo, un po’ di farina, di pasta, quello che trovavano". Al posto delle scarpe avevano degli stracci, alcune erano a piedi nudi tra i ghiacci e le nevi della Vandelli, della Cisa e degli altri sentieri di montagna. L’unica speranza era di portare il sale oltre le montagne in cambio di farina e altri prodotti che, generosamente, le genti emiliane offrivano.