REDAZIONE MASSA CARRARA

Il ’tesoro’ dimenticato di piazza Mercurio

A dieci anni dalla scoperta archeologica delle fornaci nel cuore del centro storico manca un progetto che le possa valorizzare

Dieci anni. Tanto è il tempo passato da quel lontano aprile 2012, quando al termine degli scavi ’all’ombra del Mercurio’ ci fu un incontro per trattare e illustrare i risultati delle ricerche archeologiche. Dieci anni che però nel peso della storia, nella coscienza della nostra città, valgono come un secolo. Di quegli scavi non rimane nulla alla cittadinanza poiché questa storia e queste ricerche, così importanti per Massa, con il passare del tempo sono state ’risotterrate’ e dimenticate assieme alle fornaci, unico triste simbolo e ricordo che ancora oggi si trova su TripAdvisor: solo recensioni da una stella praticamente, perché da visitare in realtà non c’è nulla.

E allora che cosa è rimasto in città degli scavi archeologici? Una domanda posta al professor Fabio Fabiani, docente di Archeologia Classica all’Università di Pisa, che si era occupato delle ricerche, e alla dottoressa Giulia Picchi, funzionaria archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Lucca e Massa Carrara "Innanzitutto resta una storia – dice Fabiani –: gli archeologi che hanno operato nella piazza hanno saputo trarre dalla terra, dai reperti e dalle strutture indagate una storia inedita sull’organizzazione del territorio di Luni. All’indomani della sua fondazione, coloni dotati di un bagaglio di conoscenze tecniche all’avanguardia, maturate nelle aree più progredite d’Italia da cui provenivano, impiantarono nella zona una grande manifattura polifunzionale e integrata: forni per la riduzione del minerale del ferro, fornaci ceramiche e un impianto oleario i cui prodotti di scarto potevano essere utilizzati per alzare le temperature dei forni stessi. Qui si producevano le anfore destinate al trasporto di quel vino che Plinio ricorda come il migliore d’Etruria e si fabbricavano materiali edilizi speciali e innovativi. Queste tracce, insieme a quelle che si stratificarono sull’area dopo l’abbandono dell’impianto e che giungono fino all’altomedioevo, consentono di dilatare di molti secoli indietro le conoscenze che avevamo sulla storia di Massa". Queste informazioni sono ormai ampiamente note nella letteratura scientifica anche di livello internazionale, tanto che alcune tipologie di reperti prodotti a Massa sono diventate un punto di riferimento imprescindibile per gli studiosi e la ricerca del settore: è un peccato che in ambito locale tutto ciò venga ignorato. "Tutti hanno delle responsabilità in questa vicenda – continua Fabiani – a partire dagli studiosi stessi che evidentemente non sono riusciti a sensibilizzare sufficientemente la cittadinanza e gli enti locali nella necessità di valorizzare quelle testimonianze".

Ci fu all’epoca un’ampia discussione sull’opportunità di mantenere in vista almeno una parte delle strutture. "Si trattava di un intervento estremamente complesso, rendere comprensibili al pubblico lacerti di strutture e strati di distruzione, e certamente costoso, nella progettazione e per i necessari interventi di manutenzione nel tempo. Per valorizzare in situ contesti archeologici occorre un attento piano progettuale che ne permetta la tutela, obiettivo istituzionale della Soprintendenza. Non semplice era poi l’integrazione dei resti nelle architetture di una piazza storica. Comunque non fu avanzata alla Soprintendenza alcuna proposta ufficiale" sostiene Picchi. Il problema principale tuttavia è che, indipendentemente dalla visibilità di pochi resti murari, non fu individuata nemmeno una soluzione espositiva in cui, come fu suggerito dagli archeologi, potessero essere illustrate le storie che i numerosi reperti raccontavano, grazie anche a soluzioni museografiche coinvolgenti, come rappresentazioni 3d navigabili ed immersive, suoni e rumori in modo che il visitatore potesse essere attore dell’esperienza conoscitiva. "Sarebbe auspicabile poter valorizzare i risultati di questa indagine archeologica importante ben oltre il livello locale – aggiungono – deve essere però in primis la cittadinanza a volerlo". Dopo il suo restauro piazza Mercurio è diventata il luogo d’aggregazione per eccellenza dei giovani: sarebbe bello se nella coscienza comune si radicasse la consapevolezza che sotto al lastricato, giace la storia.