
di Alina Lombardo
Riapertura e ristori. È descritta in queste due parole la strada che porta al salvataggio del mondo dell’associazionismo. Circoli di aggregazione con attività di somministrazione e associazioni culturali, chiusi al pubblico per la pandemia, da un anno si trovano stretti tra l’incudine della sospensione delle attività di autofinanziamento e il martello dell’esclusione da ogni forma di ristoro. Un esercito di persone tanto assenti nelle piazze della protesta quanto presenti, attive e radicate, sul territorio. Con ruoli fondamentali per la tenuta della coesione sociale, soprattutto in aree frammentate come la nostra.
È preoccupante il quadro tracciato dai dati dell’Arci provinciale di Massa. "Nel 2020 – spiega la presidente Adriana Riccardi – tra associazioni culturali e circoli contavamo 32 affiliati: 8 a Massa, 14 a Carrara e 10 in Lunigiana. Oggi sono: sempre 8 a Massa, 11 a Carrara e 8 in Lunigiana, per un totale di 27". Mancano all’appello un circolo di Marina di Carrara e quelli di: Albiano, Parana, Fossola, Bevizzano. "Non significa – precisa Riccardi – che questi circoli abbiano cessato definitivamente l’attività. È però un chiaro segnale di grave sofferenza. Non sappiamo cosa accadrà quando la crisi pandemica consentirà la riapertura".
Reggono meglio le associazioni culturali. "Per molte di loro – aggiunge Riccardi – i costi di affitti e utenze sono più sostenibili rispetto ai circoli. Inoltre, riescono a svolgere attività on line o, in forma ridotta, in presenza". Ma la sofferenza è profonda e diffusa per tutti. Lo testimonia un altro dato: il crollo verticale dei tesserati, principale fonte di autofinanziamento, scesi dai 3.800 del 2020 a circa 860. L’andamento nella provincia di Massa è tristemente in linea con quello regionale: sono 1.150 i circoli che rischiano di non riaprire mai più, denunciava qualche giorno fa, proprio sulle colonne di questo giornale, il presidente Arci Toscana Gianluca Mengozzi. Certo è un segnale positivo e innovativo che il presidente del Consiglio incaricato di formare il nuovo governo, Mario Draghi, abbia incluso i rappresentanti del Forum del Terzo settore nel suo giro di consultazioni. E fa ben sperare che nel discorso programmatico in Senato, questa volta come premier in carica, Draghi abbia dichiarato: "Chiariremo il ruolo del terzo settore e del contributo dei privati al Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso i meccanismi di finanziamento a leva".
Ma parole e intenzioni non bastano più. Servono interventi subito. Perché il rischio è che l’emergenza sanitaria spazzi via proprio chi nell’emergenza è stato ed è estremamente utile. Colmando vuoti che vanno dall’assistenza ai senza tetto alla consegna a domicilio agli anziani soli o indigenti di mascherine, cibo, farmaci. Già, perché più abituati a fare che a parlare, in questo anno di pandemia circoli e associazioni non sono stati a guardare. "Chiusi al pubblico - conclude Riccardi – ma aperti sempre. C’è chi mette a disposizione le proprie strutture per raccogliere e ridistribuire generi di prima necessità. Chi sposta on line le proprie attività culturali e sociali. Chi sperimenta formule nuove di raccolta fondi. Tutti con un unico intento: non interrompere la rete di solidarietà e coesione sociale". Resistenza attiva, insomma. Ma, quanto ancora potrà durare?