Stamani alle 10 alla chiesa di San Francesco si tengono i funerali di Vittorio Prayer. Lo storico amico Simone Caffaz lo ricorda con un intervento. "“Per il mio coccodrillo non scrivere una poesia, fai come me: rinchiuditi in una stanza e prima di metterti a scrivere bevi due bicchieri di vino, se riesci anche tre”. Chissà perché una volta mi dicesti questa frase, anche se entrambi sapevamo che per me è impossibile scrivere su di te un pezzo di quelli che scrivevi tu. “Una delle menti più brillanti che Carrara abbia prodotto negli ultimi decenni” ha detto recentemente di te un collega. Tanti tuoi articoli, che ultimamente ti divertivi a ripubblicare sui social, sono non solo piccoli pezzi di storia della nostra comunità, ma pietre scolpite: tu eri lo scultore della carta".
"Quanti aneddoti potrei raccontare – prosegue – della nostra lunga amicizia. A partire dal primo, da quando ci conoscemmo. Tu eri corrispondente della Rai e del Corriere della Sera, io un rappresentante degli studenti del liceo scientifico: scrivesti un pezzo che non mi piacque e io venni a dirtelo con i nervi a fior di pelle. Invece di litigare, tra noi scoppiò la simpatia, che col tempo è diventata affetto. Certo, gli aneddoti non posso raccontarli tutti perché a nessuno come a te si addiceva la definizione di “genio e sregolatezza” e quest’ultima spesso si manifestava nella scrittura e nei rapporti sociali nello spingerti fino al limite e talvolta superarlo.
Come quella volta che, mentre ero in Marocco, mi telefonasti dicendomi: “Hanno rubato dei libri in biblioteca, posso scrivere un’interrogazione a nome tuo?”. Commisi l’errore di risponderti di sì e tu, in quell’interrogazione, scrivesti anche il nome di colui che, a tuo giudizio, li aveva presi. Al mio ritorno a Carrara, le locandine dei giornali parlavano delle perquisizioni fatte dai carabinieri a casa della persona “citata” e il sindaco Giulio Conti mi chiamò; “Simone, ma se eri in Marocco come hai fatto a scrivere l’interrogazione?”. E io risposi: “Ho un ottimo ufficio stampa”. E lui, che aveva capito tutto: “Credo che sia lo stesso che ho io”".
"Non sto qui a ricordare il tuo curriculum, che tutti conoscono: della Rai, del Corriere e del Comune ho già detto, potrei aggiungere la prima storica Tele Toscana Nord, il Tirreno, la Nazione, la radio e tanto altro. Eri però uno dei pochi giornalisti che non importava dove scrivesse, perché la differenza la facevi tu. Ho ricordo di tanti tuoi pezzi memorabili senza rammentare dove fossero scritti. Escluso forse “Agorà”, la rivista del Comune di cui andavi fiero, che curavi in ogni dettaglio e che forse meglio di tutto rappresentava il tuo carattere, la tua passione e la tua intelligenza. Non a caso, da quando eri andato in pensione, la rivista era stata chiusa. Eppure, nonostante questo, litigasti con almeno due sindaci perché, dato che non condividevi “la linea editoriale”, pretendevi che, nel tabellino di gerenza, non risultassi direttore del giornale ma “direttore responsabile a termini di legge”. Appena ieri ti sono venuto a trovare e siamo stati due ore insieme. Mi hai accolto come tuo solito: “Io sto bene, sono di pura razza ariana, mica come te”. In effetti stavi bene, sapevo che eri gravemente malato anche se tu lo negavi, ma non si vedeva. “Dormo troppo”, mi hai detto, quasi stessi facendo una corsa contro il tempo. E poi le solite battute, i soprannomi che davi a mezza città, le critiche sferzanti alla politica. Ora Vittorio sarai incazzato perché mi rendo conto di aver scritto una poesia, che forse non ti rappresenta, ma devo confidarti che non sono riuscito a bere i due bicchieri che mi consigliavi perché c’è poco da brindare. Con te se ne va un altro pezzo di me e della mia vita".
"Mi rimane il ricordo dei tanti pranzi e delle tante cene a Colonnata, a Pulica “a mangiare la gallina lessa”, dei tanti pezzi scritti insieme, delle zingarate che abbiamo fatto insieme, molte delle quali non posso raccontare per pudore. Anche se forse tu le racconteresti. “Ci sentiamo nei prossimi giorni” ti ho detto ieri sera, quando sono andato via. Ti ho detto “ci sentiamo” perché sentivo che non ti avrei più rivisto. Ma manterrò la promessa: ci risentiremo nei prossimi giorni e anche più in là. Con il cuore".