Un fine settimana buono come il pane "E se è sciocco, il sale lo mette la crisi"

Era la “Festa del pane e“ di Confartigianato, ma i panificatori hanno poco da festeggiare: "Costi di produzione ormai disumani"

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Una domenica mattina baciata dall’ultimo sole estivo, settembrino, il profumo del pane caldo e delle focacce appena sfornate ad accarezzare l’animo, e la pancia, le torte coi becchi e l’intramontabile buccellato a dare il tocco finale. Gli ingredienti per il ritorno in (piazza) grande della “festa del pane e...“ c’erano tutti, anche con qualche aggiunta in più. Sotto lo stand, infatti, anche i polentari di Filecchio che hanno servito gustosi piatti di polenta col ragù di carne ai più golosi. L’iniziativa di Confartigianato, giunta alla sua 14esima edizione, è tornata nel weekend appena trascorso a riempire e sfamare piazza Napoleone, dopo due anni che mancava all’appello per motivi ormai noti a tutti.

"Negli ultimi due anni il Covid ci ha costretto a fermarci, le restrizioni avrebbero forse tolto senso alla festa, e gli stessi panificatori non erano motivati perché presi comprensibilmente da altro - spiega Roberto Favilla, direttore Confartigianato - Quindi ci fa tanto piacere essere tornati, insieme ai polentari di Filecchio". Buone (come il pane) e generose intenzioni, dato che i prodotti sono stati elargiti dietro offerta libera, ma soprattutto finalità benefiche: il ricavato delle due giornate, infatti, andrà nelle mani dell’associazione “Luna“, al fianco delle donne vittime di violenza.

Sul banco, dicevamo, tante bontà, appunto, ma ad andare a ruba, da vero protagonista assoluto, è stato soprattutto lui: il pane. Immancabile sulle tavole degli italiani, nella sua semplicità è il prodotto che riesce a conquistare proprio tutti i palati. L’ingrediente più classico della cultura culinaria è anche il simbolo della tradizione toscana e lucchese. Ma il suo essere per eccellenza un prodotto “povero“ non lo rende purtroppo immune alla crisi in atto.

"Questa edizione è anche un modo per dare fiducia alle categorie visto il momento difficile che stanno passando - continua Favilla - I panificatori stanno cercando di contenere gli aumenti, ma se il trend sarà questo ad un certo punto sarà inevitabile. Questo dispiace visto che si sta parlando di un prodotto non superfluo, ma essenziale". È per questo che il prezzo al bancone non lievita più di tanto, per motivi che più avanti spiegano anche gli stessi panificatori, ma che sia sciocco o meno, ad essere salati sono i costi di produzione. "Il nostro è un mesterie che ha sempre avuto problemi, dagli adempimenti che ci vedono accostati alle industrie, alle ultime difficoltà - spiega Ilaria Marchetti, nata e cresciuta con la farina tra le mani è la titolare di un panificio in Versilia che appartiene alla sua famiglia da tre generazioni - Tra tutte l’impennata delle materie prime: le farine sono aumentate in media del 45 per cento. Questo ci ha costretto ad aumentare leggermente il costo del prodotto ai clienti, viviamo alla giornata a causa del trend, eppure il prezzo del pane deve essere una costante per le famiglie".

"Il caro energia è disumano, la guerra paradossalmente ha fatto alzare anche il valore del grano - aggiunge Claudio Zendroni, panificatore di Lucca - Aumenti sono fuori dal costo produzione. Il pane non si può vendere a prezzi eccezionali, si può arrivare a un massimo di 5 euro al chilo. Le spese che dobbiamo affrontare sono esorbitanti: la farina da 0,37 centesimi al kg ora è a 0,65, è quasi raddoppiata; poi ci sono le bollette triplicate, il costo degli strumenti sopra del 30% e così via. La mia previsione è che tanti avranno una brutto futuro, soprattutto i giovani che sono partiti adesso, che si sono messi sulle spalle investimenti importanti". E ora il peso, su quelle stesse spalle, si è fatto più grande.

Teresa Scarcella