Uccise il padre e bruciò il corpo. "Era infermo di mente". Assolto dalla Corte d’Assise

La vittima era un meccanico di Spianate. Per Simone Matteoni 15 anni di Rems. Le tre perizie degli psichiatri erano concordanti e anche il pm si è associato

Simone Matteoni, il giovane che l’11 dicembre 2022 uccise il padre e poi cercò di bruciarne il corpo, il giorno dell’interrogatorio (Acerboni FotoCastellani)

Simone Matteoni, il giovane che l’11 dicembre 2022 uccise il padre e poi cercò di bruciarne il corpo, il giorno dell’interrogatorio (Acerboni FotoCastellani)

Lucca, 12 aprile 2024 – Dopo tre ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Pistoia ha pronunciato la sentenza con cui è stato assolto, per incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, Simone Matteoni, 30 anni, che l’11 dicembre 2022 in un parcheggio di Chiesina Uzzanese uccise a coltellate il padre Massimiliano (meccanico abitante a Spianate) per poi incendiarne il corpo nel tentativo di distruggerlo.

La Corte ha quindi disposto per Matteoni 15 anni di osservazione nella Rems (residenza per l’esecuzione di misure di pubblica sicurezza) vista la sua attuale pericolosità sociale. Una condizione che sarà rivalutata nel tempo. Anche il pm Claudio Curreli, che aveva diretto le indagini dei carabinieri su questa tragedia, aveva chiesto l’assoluzione per incapacità di intendere e di volere.

Una richiesta a cui si erano associati alcuni legali di parte civile e cioè gli avvocati Fausto Malucchi e Lorenzo Santini del foro di Pistoia che rappresentavano gli altri figli di Massimiliano. Mentre l’avvocato Alessio Spadoni del foro di Pisa, che rappresentava l’attuale compagna di vita di Massimiliano e i figli di lei come famiglia di fatto all’epoca della tragedia, aveva chiesto la condanna dell’imputato, difeso dall’avvocato Manuela Motta di Pistoia. "Quanto al risarcimento – ha spiegato l’avvocato Malucchi – la nostra richiesta era del tutto simbolica, un euro per potersi costituire parte civile, ma a noi interessavano soltanto verità e giustizia".

Un processo in cui le perizie hanno avuto un ruolo determinante. I tre psichiatri incaricati avevano illustrato il caso nella precedente udienza e tutti e tre i professionisti avevano concluso per l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto. Una conclusione che aveva portato alla rinuncia, da parte del pm, alla richiesta di una perizia d’ufficio.

A parlare davanti alla presidente Silvia Cipriani, al giudice relatore Silvia Isidori e ai giudici popolari, erano stati, come si ricorderà, il professor Rolando Paterniti di Firenze, consulente del pm, il professor Massimo Marchi, che era stato nominato dal gup del tribunale di Pistoia e il professor Pietro Pietrini, consulente della difesa. Gli psichiatri avevano inquadrato la tragedia alla luce della malattia mentale che affligge l’imputato al quale era stato diagnosticato un disturbo di tipo schizofrenico da cui era derivata l’ossessione per la figura paterna, fino a volerla annientare.

l.a.