"Quello che vorrei dire a Gaber"

Stefano Massini approda domani sera a Mont’Alfonso con lo spettacolo “Quando sarò capace di amare“

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Si è guadagnato da poco il titolo di primo autore teatrale italiano ad aver vinto un Tony Award, ma lui i titoli, le etichette, le tiene a debita distanza, per avere la libertà di poter essere tutto ciò che vuole. Di sicuro, Stefano Massini, tra le infinite possibilità, è uno scrittore e in quanto tale racconta. Al suo pubblico e, nello spettacolo che porterà domani alla Fortezza di Mont’Alfonso, a Giorgio Gaber.

Come mai questa scelta?

"Quando scriviamo, recitiamo o cantiamo, come nel caso di Gaber, pensiamo sempre che quella sia la sola storia che raccontiamo. Invece ogni volta ne nascono tante altre nella testa di chi ascolta, quindi non sei solo autore delle storie che ti inventi, ma anche di tutte quelle che le persone creano nella loro immaginazione partendo da ciò a che hai creato. Da qui nasce lo spettacolo. La Fondazione Gaber mi propose di raccontare una serie di storie che mi erano state suggerite dall’ascolto delle sue canzoni. Non quelle più famose, ma quelle che per me sono veri trattati di umanità, di emozioni, di sentimenti. Contenitori di temi forti e importanti che hanno a che fare con i nostri dubbi, con il nostro sbandare in cerca di una direzione".

Tra le canzoni che ha scelto c’è “Quando sarò capace di amare“ che poi dà il titolo allo spettacolo.

"Esattamente. Perché è un pezzo, straordinario, che ne raccoglie molti altri. Un minimo comun denominatore delle storie di Gaber è l’incapacità di volersi bene, di amarsi e di rapportarsi a se stessi, che si ribalta sull’incapacità di amare l’altro".

La concezione di amore che descrive Gaber è la stessa di oggi? La nostra capacità, o incapacità, è immutata?

"In parte credo sia innata nell’essere umano, in parte la difficoltà nasce dal fatto che essendo bombardati da film, serie, in cui si parla continuamente di storie d’amore, corriamo il rischio di vivere non più l’amore, ma una riproduzione della narrazione dell’amore".

Perché proprio Gaber?

"Facile, perché è un artista per il quale non esistono definizioni. Era difficilissimo da incasellare, ci hanno provato in tutti i modi, ma lui sfuggiva alle definizioni, al tentativo forsennato che abbiamo di incasellare ciò che incasellabile non è mai, cioè la libertà di espressione di tutti noi, soprattutto di chi tenendosela stretta sale su un palco e fa quello che sente. In questo senso mi assomiglia tantissimo, anche io sono difficile da incasellare. La gente si chiede spesso cosa sono. Sono uno che ha voglia di raccontare delle storie e lo fa in tutti i modi possibili e immaginabili"

E questa libertà spaventa?

"Assolutamente si. Da Gaber non sapevi mai cosa aspettarti. Anche i suoi pezzi, i suoi registri sono vari, diversi, incontrollabili. Con Gaber capita che ridi, ma rifletti profondamente su cose alle quali non avevi mai pensato".

Oggi sembra spaventare o infastidire anche il connubio che può esserci (in Gaber e in lei c’è) tra l’arte e la politica.

"Bisogna capire cosa si intende per politica. Si può essere banalissimi quando si parla di politica, o feroci e sferzanti. Spesso dimentichiamo che la nostra letteratura è sempre stata profondamente intrisa di politica. Ma fino a che la studiamo a scuola ci convinciamo che vada bene, che sia lodevole, e ci riempiamo la bocca sull’intellettuale impegnato. Quando avviene oggi, invece, non ci va più bene".

Cosa direbbe Gaber del periodo storico che stiamo vivendo?

"Dice già molte cose nei suoi pezzi. C’è un testo in particolare, “Io se fossi Dio“ che è l’unico che aggiorno attualizzandolo. Pensando a ciò che mi sarebbe piaciuto ascoltare da Gaber se si fosse trovato a vivere con i social e con una politica diventata ormai emanazione dei social".

Chissà cosa direbbe il signor G. Ce lo dirà in parte Massini domani, ma forse direbbe che "Questo è un mondo che ti logora di dentro, ma non vedo come fare ad essere contro. Non mi arrendo, ma per essere sincero io non trovo proprio niente che assomigli al vero. Il tutto è falso. Il falso è tutto".

Teresa Scarcella