
Da oggi pubblichiamo alcune rime in vernacolo di Alessandro Meschi. L’autore nasce a Lucca, nel centro storico, rione del “bastardo”, nel 1952. Vive la sua infanzia con la nonna paterna, che per anni ha venduto col “caretto” in piazza Anfiteatro e in zone limitrofe, e che lo porta a conoscere personaggi e linguaggi caratteristici di questo ambiente, comprese le famose tombole sui caretti, descritte meravigliosamente anche da Cesare Viviani, che il Meschi ha conosciuto personalmente e col quale ha avuto modo di scambiare idee e opinioni sul vernacolo.
Inizia a scrivere da adolescente, e negli anni 70, in stile definibile come semi-ermetico, compone le sue prime poesie e le espone ad alcune mostre personali del suo amico pittore Giovanni Lorenzetti. In età adulta si appassiona al sonetto classico e inizia ad elaborare lavori di ricerca emozionale e introspettiva, scavando nell’immensa gamma dei sentimenti e dei tormenti della vita quotidiana, affascinato dalla rima, dalla metrica precisa e dalla musicalità del sonetto, che diviene forma prescelta anche nel suo poetare in vernacolo , per descrivere racconti, episodi di vita vissuta, inquadrando periodi, luoghi e personaggi che hanno caratterizzato la sua adolescenza, la sua maturità e la sua attuale senilità.
Un lavoro che continua, che lo ha portato a raccogliere più di 70 sonetti, oltre a quelli in lingua italiana e a un libro autobiografico sulla sua adolescenza vissuta nel “bastardo” a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Il tutto ben custodito nei suoi cassetti, e mai portato a pubblica conoscenza, salvo amici e parenti, sia per pigrizia che per indole assai schiva e solitaria.
Oggi di Alessandro Meschi vi proponiamo questo sonetto in vernacolo, “Le Mura“.
“Saranno belle velle nostre mura! Passeggiacci e guardalle è come un rito che ti fa mescola’ con la natura e ‘n popo’ t’avvicina all’infinito.
Quando ‘llucchesi sentan la calura, vann’a piglia’ ‘r freschino garantito tra secoli di storia e di cultura, con quel ventarellin che vien spedito.
E po’ d’autunno enno più belle ancora: t’agguantano, ma ‘un è malinconia, è un pizzicor che ‘l cuore ti scolora; ti piglian drento, ma ‘un è nostalgia, è ‘n brulicar di sensi che ristora. E con la neve en propio ‘na magia“.