
"Quando si decide di raccontare se stessi, non puoi dire solo le cose belle". Lo sa bene Giorgio Panariello che nel suo ultimo spettacolo, “La favola mia“, porta sul palco la sua intimità, tra luci e ombre. E così farà il 12 agosto a Castelnuovo, protagonista atteso di questa edizione di Mont’Alfonso sotto le stelle.
Che spettacolo è? Qual è la favola di Panariello?
"È uno spettacolo in parte figlio del lockdown. In quel periodo mi sono chiesto: perché raccontare venti anni di carriera, quando puoi raccontare una vita intera. Dopotutto i personaggi del mio repertorio scandiscono la mia vita, ne rappresentano momenti diversi. E quindi ho deciso di raccontare Giorgio, più che il Panariello che tutti conoscono, di cui ci sono cose che le persone non sanno, che mi sono accadute e sono anche più divertenti delle storie di fantasia. Parlerò di questo ragazzo cresciuto in Versilia, adottato dai nonni, che ha fatto tesoro di un destino che non gli fatto conoscere il padre, che gli ha fatto vivere la madre come una signora che ogni tanto passava a salutarlo. Del rapporto con il fratello, Franco, fatto di grande affetto ma anche di un grande rimorso: quello di essere nato un anno prima e di aver avuto la possibilità di vivere con i nonni, invece che in un orfanotrofio come è toccato a lui. Un ragazzo che inconsciamente ha fatto di tutto ciò la propria forza per evadere e che in ogni contesto cercava di emergere e attirare l’attenzione su di sé.
È un Panariello diverso rispetto a quello a cui siamo abituati. Cosa significa per un comico mostrare anche i propri lati più drammatici?
"Quando racconti la tua storia non puoi raccontare solo le cose belle. L’importante è volerle condividere non per piangersi addosso ma per esorcizzarle"
E come risponde il pubblico di fronte a tutto ciò?
"I momenti duri li racconto sempre con il sorriso sulle labbra. Il momento legato a mio fratello Franco lo lascio invece in fondo e la gente si commuove, perché se non se l’aspetta. Non ti aspetti da un comico che prenda una piega diversa, anche se nella mia carriera li ho abituati a questi cambi di registro"
Com’è cambiata la sua comicità in questi anni e cosa è rimasto del primo Panariello?
"Del primo Panariello è rimasto tutto. Quando vedo un personaggio lo elaboro, mi rimane impresso e poi magari lo ritiro fuori dopo qualche anno. Non avendo un telefono da ragazzo, dovevo interiorizzare quello che vedevo. Un metodo che adesso è difficile da applicare, perché ormai sui social e sul web trovi qualsiasi cosa. Quindi la ricerca dell’originalità si è complicata".
A proposito, cosa pensa della comicità di oggi e delle polemiche legate al politically correct?
"Vengo da una generazione che ha detto le cose peggiori del mondo, prendendo in giro praticamente tutti, adesso non puoi più farlo. Quando scrivo penso e ripenso se quelle parole possano risultare offensive per qualcuno, e alla fine ti autocensuri. Da una parte secondo me è giusto non prendere in giro, quindi rispettare le sensibilità altrui, le attenzioni ci vogliono, però è limitante".
Ormai le basta poco per far ridere, anche solo un’espressione. È questo il segreto per essere immortale?
"La faccia è importante. È il promemoria di ciò che hai fatto e può riportare lo spettatore indietro nel tempo, ad un preciso momento. Quando mi incontrano per strada e sorridono è il più bel regalo che la vita mi abbia fatto".
Come ha vissuto Giorgio gli ultimi due anni e dove ha trovatto Panariello la voglia di far ridere in un momento simile?
"È stata dura. Nessuno avrebbe potuto immaginare di perdere due anni. La mia reazione immediata è stata quella di darmi da fare, con dirette social e scrivendo. Allo stesso tempo ho sentito la voglia delle persone di non pensarci. Ho scritto “La favola mia“ perché per due ore vorrei che il pubblico si dimentichi di tutto il resto. E il titolo è azzeccato: racconto una favola, una fiaba, come quella che si racconta ai bambini per distrarli e farli addormentare sereni".
Teresa Scarcella