Un altro bellissimo viaggio, accompagnati dallo scrittore Giampiero Della Nina, alla riscoperta delle suggestive tradizioni che in Lucchesia scandivano i giorni delle Festività. Tra spettacoli di fuoco e parca ma felice convivialità – compreso l’alzar un po’ il gomito – la Festa si accendeva con mille ingredienti diversi. Emozioni che Della Nina, massimo esperto di ’lucchesità’, modi di vivere e vernacolo, restituisce al lettore intatte. Giampiero Della Nina – che si è auto definito ’un commercialista pentito’ – esordì giovanissimo con racconti sulla rivista “Prove” di Mario Pannunzio. Nel 2019 i suoi racconti sono stati premiati in 7 concorsi nazionali. Il romanzo “Gente di corte”, (Albatros editore), uscito nel maggio 2018 è risultato finalista in quattro concorsi nazionali, e si è aggiudicato tre “premi speciali”, di cui uno internazionale. Nel 2020 è uscito il suo “Come grani di sabbia – dalla corte al paese” e anche il romanzo biografico “Paolo Celli istrione e chef delle stelle“. Ed ecco, in esclusiva per La Nazione, il suo racconto delle vere tradizioni lucchesi nel periodo del Natale.
Quante tradizioni sono collegate al Natale lucchese! Sono il segno di un popolo antico, maturo, vivo, fantasioso, orgoglioso. Antico perché certe tradizioni derivano da molto lontano come i “natalecci” di Gorfigliano, Agliano, Castagnola, Gramolazzo, Verrucolette. Uno spettacolo di fuoco a celebrare il solstizio d’inverno e cioè la rinascita del sole. Si chiamano così perché vengono realizzati in prossimità del Natale. Il loro allestimento richiede un grande impegno da parte di molte persone ed altrettanta maestria.
Il lavoro inizia l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, con l’erezione della “tempia”, ossia il palo centrale intorno al quale vengono intrecciati odorosi rami di ginepro ad altri, raccolti nei boschi. Ne derivano strutture arboree, cilindriche, alte fino a 20 metri, che vengono incendiate alla vigilia di Natale al suono dell’Ave Maria. Si trasformano in torri di fuoco visibili anche da molto lontano ad illuminare l’oscurità, ad accendere l’entusiasmo delle persone accorse, e a riscaldare il Bambino Gesù.
Inizia così la magica notte di Natale. Per le strade dei paesi aleggia ancora un lieve odore di fascine bruciate, insaporito con quello dei pani messi a cuocere nei forni sparsi. Sono quelli di Natale, il “giorno del pane”, come veniva anche definito, perché il pane è il simbolo di Cristo, “Pane della vita”. Non sono quelli di ogni giorno: ogni città ha il suo.
Nel milanese, troviamo il “panettone”, a Roma il “pangiallo”, a Bologna il “certosino”, a Genova il “pandolce”, a Siena il “panforte”, a Ferrara ed in Umbria il “panpepato” e da noi, il “buccellato”, che si usava mangiare anche per tutte le feste grandi. La cena doveva essere frugale per rispettare la vigilia. In alcune parti si usava mangiare le castagne secche lessate, le cosiddette tullore, con il cui brodo si preparava una zuppa dolce. I contadini poi, quella notte riempivano le mangiatoie per gli animali della stalla, perché a mezzanotte in punto, si diceva che gli animali parlassero fra loro e non doveva correre voce che il padrone era un “lucchesaccio” tirchio. A cena, non si mangiava molto, ma in compenso si beveva assai. Nella Piana, usava quella notte, il ponce al mandarino che si comprava “a dosi”, alla bottega alimentare, secondo il numero delle persone presenti in casa, esclusi i bambini.
Nella Media Valle si usava bere il “lattone” (latte e rum), prima della partenza per la Messa, ma l’ultimo bicchiere doveva essere bevuto, al massimo, due ore prima di fare la comunione. In montagna, si faceva un paiolo di vin bollito ed anche se si trattava dello "zezzerone", in quelle quantità riusciva ad ubriacare. In tale stato di incoscienza, si partecipava alla Messa della mezzanotte.
Gastone Venturelli, grande studioso e ricercatore delle nostre tradizioni, scriveva nel 1978: “... in certi giorni ci si poteva ubriacare e la sera di Natale era uno di questi giorni; ma ricordo che la messa di Natale era appositamente servita da due adulti e, cosa scandalosa, scelti dalla comunità fra i più ubriachi che erano nella chiesa... queste cose, in Garfagnana sono rimaste fino a dieci anni fa”. I più sobri uscendo per la Messa, chiedevano ai bambini di scrutare bene il cielo, alla ricerca della stella cometa.