
L'appello di Solange Del Carlo
Lucca, 8 giugno 2015 - Di questa storia se n’è occupata più volte anche La Nazione, che ha dato voce alla famiglia di Manolo Pieroni 33enne di Segromigno in Monte detenuto ormai da quattro anni nel carcere colombiano di Palmira. Lo stesso Pieroni, in un’intervista esclusiva del 12 marzo 2014, raccontava la drammaticità della vita nella prigione sudamericana. Oggi la sua storia torna di stretta attualità, grazie all’ennesimo appello della compagna di Manolo, Solange Del Carlo, che chiede aiuto e si sente profondamente indignata con lo Stato italiano. Il motivo? Dopo una trafila burocratica, a suo dire la richiesta di rimpatrio per ragioni umanitarie in Italia era arrivata sul tavolo del Ministero che però, lo scorso 25 maggio, ha negato tale possibilità rinviando tutto l’incartamento all’Ambasciata di Bogotà. Secondo lo Stato italiano manca l’accordo bilaterale tra Italia e Colombia e dunque la possibilità di ritorno di Manolo, non è accettabile. Ma facciamo un passo indietro. Manolo Pieroni è stato condannato per un reato che, secondo lui e la compagna Solange, non ha commesso. Era partito per aprire un’attività in Colombia, ma quando è arrivato all’aeroporto è stato fermato «perché qualche maledetto - come raccontava lui direttamente via telefono dal carcere di Palmira nel marzo 2014 - aveva deciso di nascondermi la droga in valigia e farmi fare da involontario corriere». La pena? 21 anni. Da qui inizia il percorso per far scontare la detenzione di Manolo in Italia, viste le condizioni della prigione colombiana. Il 19 febbraio di quest’anno «dopo tanto impegno, complicazioni e lacrime - racconta Solange - il Ministero di Giustizia colombiano ha approvato un rimpatrio per ragioni umanitarie, vista la difficile situazione familiare». Insomma, problemi legati alla salute dei familiari. «Così il 1 aprile l’ambasciata italiana a Bogotà termina lo scambio di atti con la cancelleria colombiana e invia tutta la documentazione al Ministero dell’Interno italiano - racconta ancora - . Dopo essermi messa in contatto telefonicamente più volte con il Ministero dell’Interno a Roma, mi comunicano che avevano passato la documentazione al Ministero di Giustizia che deve dare il visto perché il rimpatrio diventi effettivo. Il 25 maggio il Ministero dell’Interno mi comunica che il Ministero di Giustizia non ha approvato il rimpatrio per ragioni umanitarie rinviando tutta la documentazione all’ambasciata di Bogotà». Così oggi Solange torna a chiedere aiuto per sensibilizzare l’opinione pubblica, «così che il Governo - conclude - possa accelerare queste pratiche, visto che le condizioni in cui vive il mio compagno sono veramente disumane. Anche l’Onu ha ammonito in più occasioni il governo colombiano per trattare i detenuti in modo disumano».