Don Rosa e i paperi: "Per me una missione. Mi diverto a disegnarli"

L’artista racconta la genesi della saga di Paperone

Don Rosa e i paperi: "Per me una missione. Mi diverto a disegnarli"

Don Rosa e i paperi: "Per me una missione. Mi diverto a disegnarli"

Don Rosa e i paperi. Don Rosa e la saga di Paperon De’ Paperoni. Don Rosa vs. Disney. Tutto questo nell’incontro nel tardo pomeriggio di ieri, in Sala Tobino, moderatori Alberto Becattini e Pier Luigi Gaspa, dopo una giornata intensa di firmacopie. Una carriera da professionista iniziata tardi, a 37 anni, dopo il lavoro nell’azienda edile di famiglia fondata dal nonno Gioachino, originario di Magnago, in provincia di Venezia ed emigrato nel 1895 negli Usa.

"Il segreto del mio cosiddetto successo - ha esordito Don - è che sono stato un fan sfegatato di fumetti. Provengo da una famiglia di costruttori, l’azienda si chiamava Kino Rosa Company. In realtà pensavo di proseguire a lavorarci e disegnavo, l’ho fatto fin da piccolo, per divertimento, per i compagni, per gli amici. Anche quando sono diventato professionista non mi sono sentito di esserlo e neanche oggi. Mi sono sempre divertito e l’ho fatto sempre con lo spirito dell’appassionato, non avendo problemi di soldi. Ed è bello che soprattutto in Europa tanti appassionati del grande Carl Barks hanno riconosciuto qualcosa di buono nei miei disegni".

"Perché Zio Paperone? Da sempre - ha spiegato Rosa - in Europa tutti mi chiedono perché occuparmi di un “comprimario“ tra i paperi. E’ stato Barks a creare questo capoclan: lui non lavorava con Disney, ma in 4 anni Paperone è diventato molto popolare, tanto da riprenderlo, dal ’50 al ’60, ammorbidendolo un po’ nel carattere. Le storie di Paperone avevano tematiche più adulte e io le preferivo. Quando poi negli anni ’50 negli Usa è nata la paura del fumetto, come cattiva influenza sui più giovani, Paperone ha smussato molto il suo carattere originario. Io lo preferivo prima, ma comunque Barks si basava sul mondo reale e riferimenti storici".

Molto importante, per Don Rosa, la ricerca e la documentazione per le sue storie: "All’inizio - ha confermato l’autore - facevo soprattutto sequel per gli Usa, ma in Europa si cominciava ad apprezzare Barks. Allora ho iniziato a ricercare temi legati anche alla storia. I paperi sono persone, con un lavoro, dei vestiti e dunque potevo inserirli nel mondo reale e nella storia. Mi piace e mi diverte fare questo e la cosa fantastica è che mi accorgo che se uno lega diverse realtà storiche si riesce a fare a una storia a propria volta. Sta tutto scritto sui libri, nero su bianco. Perché non usarli?".

E sul rapporto tra cinema e fumetto: "Quando avevo 4 anni - ha ricordato Don - disegnavo sui registri che portava a casa mio padre, ma io ero convinto di disegnare un film. Ero appassionato di vecchi film e quello che so è che chi ha il senso della narrazione si ispira al cinema. Sono 40 anni che non leggo fumetti americani e secondo me è meglio studiare i vecchi film: la luce, le inquadrature".

Sulle origini della saga di Zio Paperone, Don ha ricordato il lavoro certosino di ricerca, basato su tracce lasciate da Barks: "Non è stato un mio progetto. Alla fine degli anni ’80, dopo aver liquidato l’azienda, mi sono trovato senza lavoro perché Disney mi ha aveva praticamente proibito di disegnare i paperi. Però quelli di Disney non avevano successo e chiamarono come editor Bob Foster, un mio amico. Ebbero l’idea di fare una storia in 12 parti su Paperone e Foster mi chiamò. Io gli dissi che non doveva uscire per Disney, ma per Egmont, una piccola casa europea che lavorava con passione. Lui chiamò Egmont, che chiamò me. E dovevamo farlo prima noi. Era il 1992: mandai lettere a colleghi appassionati e a Barks per suggerimenti. Era il mio sogno. Volevo solo prendere i fatti di Barks, metterli in ordine e scolpirli nella pietra. Per me era una missione, non pensavo certo che avrebbe avuto successo".

Paolo Ceragioli