Un altro racconto dal libro di Tista Meschi, “Via della Cortevecchia“ edito dall’Accademia Lucchese di scienze, lettere e arti
Ho scritto spesso racconti di vita in campagna. Ricordi di un’infanzia trascorsa nella terra dei nostri genitori quando il vivere era diverso, come diversa era la vita dei contadini e dei cosiddetti “signori”. Ora tutto è cambiato, non so dire se in meglio. Sotto certi aspetti certamente sì, il tenore di vita è migliorato, migliorata è la sanità, migliorato è un po tutto, ma non ci sono più quei rapporti di vicinato e di collaborazione, argomento, questo, di discussioni infinite alla tv e sui giornali. Ma non è l’argomento del mio “racconto”. Vado spesso in campagna, per camminare o per fare qualche chilometro in macchina, tanto per fare un giro, come si dice, ma purtroppo, spesso sono giretti di delusione. Intanto è difficile incontrare gente che lavora nei campi, non si incontrano persone indaffarate fuori nelle aie delle corti, tutto è silenzio diverso. Solo il rumore delle auto che ormai passano da tutte le strade annientano quei suoni che conoscevamo. Passando era motivo non solo di curiosità e di piacere osservare gli orti davanti alle case, curiosare fra le case, capirne la funzionalità contadina o sbirciare attraverso i cancelli di antiche e misteriose ville e immaginare la loro vita, i grandi fasti e i piacevoli incontri culturali. Ora abitare in campagna significa avere una bella villetta con piscina azzurra o abitare in una vecchia casa colonica ben rimodernata con mattoni e pietra a vista contornate da intonaco liscio in bella mostra, avere un bel garage in facciata per entrare subito dentro da un cancello automatico e altre comodità necessarie. L’orto non si fa più, e più comodo il supermercato. Passeggiate non se ne fanno. Il sabato e parte della domenica si passano a tosare il pratino o siepi con mezzi semi automatici, passare il resto della domenica ad affumicare l’aria con puzzolenti bracieri all’americana in compagnia di amici mangiando e bevendo cibi anche di buona qualità in piatti e bicchieri di plastica. Tutto per comodità, si corre per andare a lavorare affrontando ingorghi di traffico, affannati per andare al supermercato e portare i figli a scuola, i vecchi in casa non si possono più tenere, ed erano quelli i custodi di tradizioni famigliari. Tornare a sera senza avere più il tempo di godersi il buio a guardar le stelle dopo cena seduti sulla porta di casa in attesa di un sonno rigeneratore o stare tranquilli a guardare la campagna intorno, non c’è visione, siepi di due metri ben potate proteggono te e la famiglia. Ora non si dorme più e se per caso uno riesce ad addormentarsi, l’allarme di una casa vicina ti fa sobbalzare sperando che i ladri siano nell’altra villetta. E allora aveva ragione Giuseppe quel contadino di Romano che la domenica passava il tempo a girare con le mani dietro la schiena per il podere a guardare il lavoro fatto in solitudine rifiutando di andare al bar o sulla strada a veder gente e macchine rumorose e allora diceva che era meglio star lì a smoccolà. Quello gli piaceva!