REDAZIONE LA SPEZIA

Motta e Mourinho, un legame a filo doppio

Roma-Spezia sarà la sfida fra allievo e maestro protagonisti insieme dello storico ‘triplete’ con l’Inter. Le analogie fra i sistemi di gioco

Alle 20,45 di lunedì prossimo, allo stadio Olimpico di Roma, saranno baci e abbracci tra José Mourinho e Thiago Motta, due uomini uniti da un solido rapporto di stima e affetto nato nel lontano 2009. Thiago ritroverà il maestro José, l’uomo che insieme a Carlo Ancelotti e Gian Piero Gasperini, ha segnato la sua carriera da giocatore, rilanciandolo verso traguardi prestigiosi. Fu Mourinho, nel 2009, a richiederne l’acquisto dal Genoa al presidente interista Massimo Moratti, che pur di soddisfare le richieste del suo allenatore, imbastì una maxi operazione con Preziosi: 18 milioni di euro al club rossoblù e i giocatori Bolzoni, Meggiorini, Bonucci (che mai giocarono con i Grifoni), Fatic e Acquafresca, in cambio di Diego Milito e Thiago Motta, quest’ultimo strappato alla concorrenza della Roma. Club giallorosso che, per inciso, non era evidentemente nel destino di Thiago perché già nel 2007, l’allora tecnico della Roma Spalletti cercò di portarlo nella capitale, non riuscendovi per la concorrenza dell’Atletico Madrid. Sotto la guida di Mourinho, Motta tornò a consacrarsi nel grande calcio, vincendo uno straordinario triplete, solo minimamente macchiato dall’amarezza di non aver potuto disputare per squalifica la finale di Champions contro il Bayer Monaco. Quel periodo a fianco di Mourinho servì a Motta per apprenderne i segreti del mestiere, molti dei quali il tecnico aquilotto sta riproponendo nello Spezia, sia dal punto di vista tattico che degli adattamenti di taluni giocatori in ruoli a loro non usuali. Non è un caso che nella sua tesi di laurea nel corso master di Coverciano, Motta abbia citato come punti di riferimento Mourinho e Gasperini. Come non intravedere nell’esaltazione del gioco di rimessa ostentato da Motta nell’ultimo mese, con l’adozione del sistema di gioco 3-5-2, un riprendere la filosofia di gioco che fece le fortune dell’Inter del triplete? La squadra nerazzurra aveva i suoi punti di forza nella tenuta difensiva alla quale tutti i giocatori dovevano concorrere e nella filosofia della vittoria da conquistare a tutti i costi, andando anche oltre lo spettacolo.

Concetti che Thiago non manca mai di rimarcare nell’attualità: "Si difende e si attacca in 11 e la cosa più importante nel calcio è il risultato. Cos’è più importante tra la prestazione e la vittoria? Vincere...". Inevitabili le reminiscenze e le analogie di quando in quell’Inter vincente non difendevano solo Lucio e Samuel, ma anche Milito ed Eto’. Come non ricordare quando nel match di Champions contro il Chelsea, Mourinho virò verso il 4-2-3-1 con Motta a fianco di Cambiasso al centro della mediana, Pandev a destra, Milito di punta, Sneijder sulla trequarti ed Eto’ a sinistra, con quest’ultimo a più riprese a fare il terzino? Similitudini nel presente con l’attaccante Gyasi impiegato da ‘quinto’ di destro, nel 3-5-2, a fare il pendolino nelle due fasi. E poi le invenzioni: se Mourinho dirottò con efficacia Samuel in attacco nel match di Siena, Motta ha trasformato con esiti discreti Sala a regista e Gyasi a terzino sinistro. Un po’ diverso l’aspetto comunicativo, laddove Mou è difficilmente imitabile, mai banale, anticonvenzionale, mentre Motta è decisamente più pacato e diplomatico, anche se gli ultimi sassolini sugli arbitri fanno pensare ad un graduale cambio di rotta.

Fabio Bernardini