
Il gruppo che ieri mattina ha preso parte al presidio organizzato dall’Afea davanti all’ingresso dell’ospedale Falcomatà
Sono trentacinque milioni le tonnellate di amianto sparse sul territorio italiano e ancora da bonificare, a detta di Afea, l’Associazione famiglie esposti amianto. Seicento, sono le pratiche di risarcimento presentate dal 2010 a oggi, di cui il 95 per cento andato a buon fine. E mille gli aderenti, tra soci e simpatizzanti in tutta Italia: tra questi 250 spezzini. Questi i dati che, ieri mattina, l’associazione nazionale con sede centrale alla Spezia, ha evidenziato in occasione della manifestazione di protesta davanti al dipartimento di medicina legale dell’ospedale militare spezzino ‘Bruno Falcomatà’.
La denuncia riguarda i ritardi nelle valutazioni e nei risarcimenti di numerose commissioni militari ospedaliere italiane e, in particolare, di quella della Spezia. "Il nostro interesse – esordisce Nicola Sinigallia, segretario di Afea e già capo macchina nelle navi a caldaia – non è tanto quello di accusare, quanto piuttosto quello di arrivare a essere ascoltati e finalmente risarciti come lo Stato ha deciso, invece di continuare a essere ostacolati. I problemi – continua Sinigallia – non riguardano soltanto la commissione medico ospedaliera della nostra città ma anche quella di Roma, che ha dovuto richiamare in servizio un ammiraglio ispettore per espletare ben 22 pratiche vecchie di tre anni rimaste in sospeso; mentre a Taranto ci sono persone che stanno aspettando da più di due anni di essere chiamate, quando di regola ogni commissione ha 60 giorni di tempo per convocare. Dappertutto insomma si stanno verificando ritardi. Io ero capo macchina nelle navi a caldaia – spiega ancora – quindi di amianto ne ho respirato un bel po’. Spero di avere ancora del tempo per potermi godere i miei nipotini. Una cosa che faccio quotidianamente, da quando ho scoperto di avere gli ispessimenti pleurici, è guardare il corso di appartenenza dell’ ultimo collega morto, per capire quanto dista dal mio corso e quindi quanto tempo a disposizione io abbia ancora. Il problema di questa mia alterazione è che da un momento all’altro può trasformarsi in mesotelioma e, a quel punto, se hai un anno di vita è già tanto".
"Ogni mattina, la prima cosa che dice è ‘Oggi sono vivo’ – interviene, con un sorriso amaro, la moglie Raffaella De Pasquale che, insieme ad altre donne, è presente al sit-in in viale Fieschi per sostenere la causa dei propri congiunti –. Tutte noi che siamo consorti di militari, condividiamo con loro questo percorso e questo calvario. La moglie di un associato per esempio – continua De Pasquale – nel frattempo è mancata e lei, come me, lavava le tute da lavoro al proprio marito".
Alla manifestazione c’è anche la sofferenza di chi è rimasto e fa sentire chiara la propria voce, parlando per chi non lo potrà mai più fare. "Mio marito che era sommergibilista e per trent’anni è stato imbarcato – dice Maria Rizzi, vedova di Giuseppe Di Cuonzo – è mancato nel 2013 a settant’anni dopo un vero e proprio calvario; per questo oggi io sono qui a sostenere l’associazione". "Mio padre – dice Giuseppe Gusinu, figlio di Pietro, morto a 75 anni – ha contratto l’asbestosi perché ha respirato amianto sulle navi. Era cannoniere ed è mancato l’anno scorso dopo grandi sofferenze. Con la Marina militare – precisa Gusinu – aveva già vinto un processo a seguito del quale gli era stato riconosciuto un punteggio per la gravità della sua malattia ma la controparte è ricorsa in appello. Come figlio, in questo momento, non mi sento rappresentato dalle istituzioni. Infatti ora mi trovo coinvolto personalmente in un nuovo processo, dovendo anche sostenerne le spese legali. Mi chiedo quanti gradi di giudizio serviranno per avere ciò che ci spetta ma, soprattutto, mi chiedo quante volte dobbiamo noi familiari rivivere questo dramma".
"Non ci sentiamo tutelati – dice Giuseppe Ferretti con 33 anni di servizio effettivo in sala macchine e l’ ispessimento della pleura a entrambi i polmoni – Ogni ente, dall’Inps all’ ufficio delle Entrate, scarica le colpe sull’altro. E intanto la gente muore".
Alma Martina Poggi