
Con l’avvento del turismo su larga scala, e da quando la città della Spezia si è trasformata in un hub per gli arrivi e le partenze che gravitano attorno al fenomeno Cinque Terre, le vie e le piazze del centro storico hanno visto il rapido proliferare di tavolini, sedie e gazebi per l’occupazione di suolo pubblico
La Spezia, 17 agosto 2025 – C’è chi ha optato per il color porpora, chi per il crema o il bianco ottico. C’è stato chi il proprio ombrellone lo ha voluto nella più sobria sfumatura ecrù e chi invece lo ha proposto in color panna ma con la scritta accesa della bibita più famosa del mondo. E se le tonalità sono per lo più in palette, il maggiore contrasto lo si riscontra nelle forme: c’è quello a palo centrale, quello ‘a braccio laterale’ e, ancora, quello più elegante cosiddetto ‘a sbalzo’. Fino ad arrivare ai veri e propri gazebo.
Non si tratta della ‘fotografia’ nero su bianco e ‘scattata’ dall’alto di un’affollata spiaggia libera del levante. È invece la prospettiva, dal basso e cammin facendo, del centro storico spezzino: a farla da padrone, issati come bandierine su quel pezzetto più o meno ampio di suolo pubblico conquistato, sono i tanti dehors di bar e ristoranti. Per tutti, ormai vere e proprie barriere. “Diciamo che i dehors, per un commerciante che non è del comparto del food, sono come un muro. Anche perché hanno assunto delle dimensioni davvero grandi che portano le persone a transitare in mezzo alla strada: in questo modo la visuale della vetrina viene compromessa e per noi è un danno enorme”. A parlare è Claudia Ruggia, titolare dell’omonimo negozio di calzature in piazza Garibaldi, oggi delimitato dai dehors di due locali. “Mi rendo conto che i passanti mi ‘saltano’ completamente, costretti a fare una gincana in mezzo a sedie e tavolini esterni. Ma non solo, anche la macchina spazzatrice non arriva più a pulire davanti al mio negozio, e io mi ritrovo a dover togliere da sola escrementi di gabbiani, pipì e deiezioni di cani. Inoltre, tante attività del centro hanno chiuso o si sono spostate proprio perché si sono ritrovate affiancate da locali con ingombranti dehors. E poi sono tutti diversi: una linea guida ci vuole. Sono anni che segnalo questo problema all’assessore preposto: i dehors vanno bene, ma devono essere più piccoli e con un arredo omogeneo, quantomeno per quartiere”.
“Io sono bloccata tra due dehors: uno a destra e uno a sinistra – dice Angela Torroni, titolare della gioielleria Macò in corso Cavour – I passanti sono costretti a camminare in mezzo al corso e la mia vetrina passa inosservata. Ho dovuto spendere ben 200 euro di piante per cercare di rendere visibile il negozio. Non solo, ho dovuto anche chiamare assessori e vigili perché uno dei locali vicino al mio è rimasto chiuso per mesi e il dehors è rimasto completamente abbandonato con all’interno frigoriferi e tavolini che attiravano topi: lo spettacolo e l’odore erano indegni. Il punto che più mi preme è quello delle distanze: i dehors dovrebbero stare ad almeno a cinque metri dalle vetrine dei negozi attigui, perché altrimenti queste vengono oscurate”.
Una richiesta di regole chiare, tanto in materia di occupazione del suolo pubblico quanto per l’estetica, anche da parte degli stessi titolari di bar e ristoranti. “Io non ho un dehors ma uno spazio esterno – spiega Alessandro Sevieri, titolare dell’omonima, antica trattoria di via della Canonica – e secondo me, la possibilità di avere tavolini al di fuori del proprio locale deve essere un’opzione valida solo per il periodo primaverile ed estivo. Un primo problema della nostra città è che viene dato sempre più spazio alle attività che, per altro, lo occupano con strutture esterne un po’ raffazzonate. E poi non vengono fatti controlli: il Comune dovrebbe mettere insieme uno staff di persone con precise competenze e requisiti per giudicare su questa materia su cui non si può esprimere una valutazione giudizio basandosi solo su criteri soggettivi e personali”.