
Il giudice del lavoro Gabriele Romano
La Spezia, 27 luglio 2016 - NELLA sempre più ampia casistica dei verdetti giudiziari con i quali viene affrontato il tema della rivalsa per l’esposizione all’amianto e i decessi da questa indotti si inserisce ora una sentenza della Corte di appello che certifica la tenuta di un pronunciamento-pilota del giudice del lavoro spezzino Gabriele Romano.
La vicenda chiama in causa Rete Ferroviaria Italiana Spa, erede, nel bene e nel male, delle Fs e, quindi, anche della responsabilità pregressa, che viene dal lontano: la mancata adozione di misure di prevenzione per preservare i lavoratori dalle inalazioni delle fibre killer negli ambienti in cui esse circolavano, per effetto della presenza dell’amianto.
MA, nella vertenza giudiziaria in questione, non sono stati familiari del lavoratore deceduto a promuovere l’offensiva legale, bensì l’Inail, l’istituto nazionale assicurativo per gli infortuni sul lavoro per le indennità erogate al lavoratore quando era in vita in virtù, appunto, dell’esposizione all’amianto e delle patologie sofferte. Insomma, un’azione di rivalsa, nei confronti delle Ferrovie per le negligenze accertate. Queste, si badì bene, non sono state riferite all’impianto normativo venutosi a generare una volta venute tragicamente a galla le conseguenze dell’esposizione all’amianto ma, bensì, ad un Dpr risalente al lontano 1956, là dove questo imponeva, negli ambienti di lavoro - interessati alla circolazione delle polveri - l’adozione di aspiratori e mascherine di protezione. Nel caso specifico il lavoratore spezzino, poi morto a causa del mesiotelioma pleurico, aveva lavorato presso le Grandi Officine Riparazioni delle Fs di Torino dove, è emerso dall’istruttoria, venivano montane le coibentazioni a base di amianto.
Quando la causa promossa dall’I nail nei confronti di ReteItalia si era incardinata alla Spezia, il lavoratore era ancora in vita. E’ poi deceduto nell’ottobre del 2015, all’età di 68 anni, nella more della causa dall’appello dopo la sentenza con la quale il giudice spezzino Gabriele Romano, accogliendo le tesi del legale dell’Inail, l’avvocatessa Antonella Iannucci, aveva condannato Rete Italia al risarcimento dell’Istituto per le rendite erogate a favore del lavoratore esposto. Un conto ad 180 mila euro, con corredo del pagamento delle spese processuali. Tutto ora confermato dalla Corte di appello, che ha rinunciato al ricorso in Cassazione. Ha infatti pagato a tamburo battente.
Corrado Ricci