FRANCO ANTOLA
Cronaca

L’epopea dell’8 settembre "Una città deserta e in bilico tra rassegnazione e speranza Molti agirono per coscienza"

Pagano, presidente del Comitato unitario per la Resistenza, ricostruisce quelle ore tragiche e dense "A nessuno fu negato un abito borghese. Fu il più grande travestimento di massa mai visto".

L’epopea dell’8 settembre  "Una città deserta e in bilico  tra rassegnazione e speranza  Molti agirono per coscienza"
L’epopea dell’8 settembre "Una città deserta e in bilico tra rassegnazione e speranza Molti agirono per coscienza"

di Franco Antola

Anche Spezia visse con stati d’animo diversi – dolore, disperazione, rassegnazione ma anche speranza in un futuro di pacificazione e rinascita – la drammatica epopea dell’8 settembre. A Giorgio Pagano, studioso di storia, copresidente del Comitato provinciale unitario della Resistenza e presidente dell’associazione Mediterraneo, impegnato in progetti di cooperazione internazionale oltre che ex sindaco, abbiamo chiesto una riflessione su quegli anni.

Pagano, pensa che ci siano pagine ancora da scrivere, o riscrivere, a distanza di 80 anni?

"La città aveva 110mila abitanti, ma erano assenti, perché richiamati in guerra, gli uomini di dieci classi (1913-1923). Molti combattevano all’estero. Gli adulti rimasti erano militarizzati nelle fabbriche belliche. Due terzi delle donne, dei bambini e degli anziani erano sfollati. La sera dell’8 settembre, all’annuncio dell’armistizio, per qualche ora fu gioia: le colline si riempirono di falò, la speranza era che la guerra fosse finita. Il mito di Mussolini era già caduto. Ma c’era un senso di estraniamento e di delusione. Questo sentimento si trasformò progressivamente, anche se non in tutti, in rabbia e poi in dissenso politico. Pensiamo all’assalto popolare alle caserme abbandonate dai militari: fu guidato dall’istinto di autoconservazione, ma anche dalla volontà di non lasciare la roba ai tedeschi che stavano per sopraggiungere. Sento il bisogno di raccontare ancora meglio quella che Italo Calvino definì l’Odissea dell’8 settembre: la rassegnazione ma anche la coscienza di altre possibilità. In questo senso l’8 settembre fu uno spartiacque, nel senso che crebbe sempre più questa coscienza nuova. Fu molto importante la scelta morale individuale. Nei giorni dell’Odissea rifulsero quelle che Giuliano Procacci definì ‘le virtù profonde e modeste, di gentilezza e di tolleranza, del popolo italiano’. Pensiamo alla solidarietà verso gli sbandati: a nessuno fu negato un abito borghese. Fu il più grande "travestimento di massa" della storia. Un aspetto da studiare di più, in particolare, è che nel caos la classe operaia rivelò i maggiori tratti di coesione interna".

L’8 settembre segnò l’inizio dell’occupazione tedesca ma anche il nascere di quelle ’resistenze’ che contribuirono a conquistare le libertà democratiche. Ne furono protagonisti anche le forze armate. Pensa che questo contributo debba essere indagato più compiutamente?

"I partiti antifascisti nel 1943 erano molto deboli. Il loro ruolo era più di attesa che di azione. Non a caso nella caduta di Mussolini, il 25 luglio, non ebbero alcun ruolo. Lo conquistarono a poco a poco, organizzando una spinta antifascista che nasceva dal basso. La Resistenza fu, all’inizio, l’incontro tra i militanti antifascisti e i soldati sbandati. Quel che colpisce, e dà il senso della catastrofe, è che nessun soldato, travestendosi da borghese, pensò che stava disertando. E tuttavia episodi di resistenza militare non mancarono. Spezia era circondata. Doveva essere difesa dalla quinta armata dell’Esercito, diretta dal generale Mario Caracciolo, che si distinse per la volontà di resistere all’invasore, nonostante gli orientamenti quantomeno controversi del comando superiore. Le due divisioni preposte, la Rovigo e le Alpi Graie, poterono dar vita solo a episodi isolati. Ma riuscirono a ritardare l’avanzata dei tedeschi, facendo fallire il loro intento di catturare le navi italiane. In quella situazione era chiaro che non c’era più alcuna possibilità di uscire vittoriosi dalla lotta contro i tedeschi: ma tanti militari preferirono osare. Già il 9 settembre la città era però sotto il pieno controllo dei tedeschi".

Chi furono i caduti in quei giorni?

"Il 9 settembre un gruppo di militari delle Alpi Graie si scontrò, al ponte di Romito, con i tedeschi. Morì un tenente medico bolognese, rimasto senza nome. Cresceva inoltre la raccolta delle armi abbandonate, con obiettivi ancora non chiari. Tra i popolani che le raccoglievano c’era Giovanni Pelosini, ventenne di Tellaro, che recuperò nell’amegliese, a Montemurlo, insieme ad alcuni amici, armi abbandonate dai reparti alpini sbandati. Sorpreso dai tedeschi, Pelosini tentò la fuga ma venne gravemente ferito. Morì all’ospedale di Sarzana. Era l’11 settembre: fu il primo caduto della Resistenza spezzina che ricordiamo con un nome".