
di Chiara Tenca
Una nuova tappa nel suo peregrinare ad ogni latitudine, taccuino alla mano, per raccontare i grandi fatti della cronaca: sta per arrivare in riva al golfo Giammarco Sicuro, inviato speciale della redazione esteri del Tg2. L’occasione sarà la presentazione del suo libro ’L’anno dell’alpaca – Viaggio intorno al mondo durante una pandemia’ (Gemma Edizioni), fresco del secondo posto al premio letterario nazionale Maldini, in programma domani al De Terminal in banchina Thaon di Revel. Pagine scritte nero su bianco, per narrare il 2021 del Covid fra Corea del Sud, Spagna, Messico, Brasile, di cui parlerà in una terra che nella sua carriera riveste un significato speciale.
Che anno è stato per lei?
"Senz’altro, molto diverso. Ho trascorso nove mesi lontano da casa e allo stesso tempo ho vissuto qualcosa di differente rispetto a quanto successo a gran parte di voi: è stato molto formativo, mi ha permesso di veder il mondo da un’altra prospettiva. Non scorderò mai quella mattina a Madrid in cerca di un caffè impossibile da trovare: ho camminato per oltre mezz’ora, nel silenzio rotto dal solo rumore dei semafori, dove solitamente è pieno di bar e di gente".
Perché mettere tutto in un libro, avendo già raccontato in tv quanto visto?
"Ho sentito l’esigenza di aggiungere qualcosa, anche di personale, rispetto ai servizi giornalistici; la pandemia è stata un momento storico con s maiuscola, che leggeremo nei libri: trattandosi di un evento cruciale, ho pensato fosse necessario aggiungere alla cronaca emozioni, dettagli. Sono accanito lettore di diari di viaggio – Terzani, Montanelli, Kapuscinski e altri grandi inviati – e ho voluto provare anche io".
Il titolo fa riferimento all’alpaca: perché?
"Uno dei miei peluche, una sorta di mascotte con una funzione quasi palliativa nell’ammorbidire una situazione del genere. Avevo la missione di riportarli a casa come souvenir".
Dalla tv alle pagine scritte: cosa le ha dato di più questo mezzo?
"Personalizzare mi ha liberato dalle regole che ci costringono dentro recinti di sinteticità: potendo dilungarmi, ho iniziato ad aggiungere colori, profumi, ambienti e psicologia. A volte il giornalismo può diventare castrante e questa libertà mi è decisamente piaciuta".
Cosa le resta nel cuore di questo anno dell’alpaca?
"Il ricordo di tante persone straordinarie: mi ha dato l’opportunità di conoscere tanti uomini e donne normali in apparenza, ma straordinari nei fatti, che nell’emergenza hanno tirato fuori la loro parte migliore. Questo è un libro di speranza e non di abbattimento".
Dopo il Covid, la guerra: scriverà un altro libro?
"L’emergenza è il filo conduttore del giornalismo sul campo e credo che quanto accaduto in Ucraina sia strettamente legato alla pandemia: ci aspettavamo conseguenze economiche pesanti, che si sono poi tradotte in tensioni militari. Non è un segreto che questo conflitto nasca anche da interessi forti, dal doversi accaparrare le poche risorse che ci concede questo mondo. Non mi sorprende, quindi, che siano accaduti in questa successione. Ho tanto materiale, messo da parte ogni volta che mi trovo a viaggiare: non escludo, quindi, un nuovo libro".
Si è rivelato molto abile a raccontare anche sui social.
"Ho studiato immagine a livello teorico, la fotografia resta una passione. La strada del futuro sono questi canali: dico una banalità, ma il problema è che il giornalismo se ne è reso conto tardi; finalmente, negli ultimi tempi ci stiamo attrezzando per far informazione qualificata e professionale anche sui social, che intercettano un altro tipo di pubblico, ormai perso dalla tv".
Torna in questo territorio, che per lei non è certo sconosciuto.
"Sono contento di far tappa dove ho fatto la mia prima esperienza da inviato. Era il 2011, sono arrivato la mattina del 26 ottobre per documentare l’alluvione: stavo a cavallo fra le due province, mi muovevo da Sarzana. Ho iniziato ad imparare il mestiere qui, ci torno sempre volentieri".
Chiara Tenca