MARCO MAGI
Cronaca

’Il Pedone’ che è in noi. Lo scacchiere della vita raccontato da Giacobazzi

L’attore e cabarettista porta in scena il suo spettacolo stasera al Teatro Civico "C’è chi diventa alfiere o regina, la maggior parte resta nella normalità".

’Il Pedone’ che è in noi. Lo scacchiere della vita raccontato da Giacobazzi

In una società dove praticamente tutti ambiscono ad essere pezzi pregiati di un’ipotetica scacchiera, per Giuseppe Giacobazzi (alias di Andrea Sasdelli), brilla il fascino della normalità, fra le ombre e i colori di una vita qualunque. Insomma, essere un pedone, come il titolo dello spettacolo che porterà stasera, alle 21, al Teatro Civico.

Grande giocatore di scacchi? "No, anzi, pessimo. Nessuna passione per la scacchiera, né in gioventù, né ora. Però, la difficoltà di giocare a scacchi mi ha fatto pensare a quello che mi aveva detto un amico nell’osteria: che il pedone è quello che fa più fatica di tutti e viene sempre mandato allo sbaraglio".

Il titolo, ‘Il Pedone’, ce lo sviluppa in due parole? E soprattutto ci spiega cosa c’è di positivo nell’essere un pedone?

"Fondamentalmente nasciamo tutti pedoni, poi c’è chi diventa alfiere, cavallo e pure re e regina, ma c’è una predisposizione. La maggior parte rientra nella normalità e rimane un pedone, ognuno con le proprie sfumature, peggiori o migliori. Ecco io faccio parte, come tutti, di questa realtà, dell’essere un pedone che resta pedone e non si trasforma in un altro pezzo degli scacchi. E mi va bene così".

Il cabaret da ‘battutista’ non le appartiene. Non le piace?

"No, no, lo amo moltissimo. Ma semplicemente non è nel mio stile, sono sempre stato un raccontastorie, approfittando sempre dei fatti della mia vita. Le battute vengono spontanee al di là di tutto, e non costruisco niente in funzione della battuta. Ho tanti colleghi battutisti fantastici, che in verità invidio perfino, a volte, non ho quella capacità. Ognuno ha le sue caratteristiche. Un esempio? Se volete rovinare una barzelletta, fatela raccontare a me. Sono negatissimo!".

Censura nella comicità: una volta ‘stoppato’ a Zelig per la parola ‘prostata’. Ma è peggio adesso di qualche decennio fa e non ce ne siamo accorti?

"Senza dubbio oggi. Bisogna stare molto attenti a quel che si dice. Poi, certo, ci sono produttori e gestori illuminati, che non hanno problemi. D’accordo che con la tv vengo a casa tua e devo stare attento a quello che dico autolimitandomi, ma in teatro no. A teatro sono a casa mia, chi viene paga il biglietto per vedere uno spettacolo e mi sento libero di dire quello che voglio. Il teatro è libertà".

Lei usa poche parolacce (per fortuna), questo fa parte di una ‘comicità vecchio stile’?

"Da vecchio comico, ormai sessantenne, continuo a essere di quelli che badano più alla forma. Molti usano il linguaggio comune, il contemporaneo, però dato che il modo di comunicare è cambiato e le parolacce più diffuse, è normale che nei monologhi dei colleghi se ne sentano di più".

Nei suoi spettacoli racconta degli episodi vissuti, ma... quante gliene capitano?

"Sicuramente li coloro un poco quegli episodi. Per il 90 per cento, però, sono così come li ho vissuti. Li racconto fedelmente e un paio sono esattamente accaduti: quando la gente non ci crede, presento i due protagonisti, ovvero io e un mio amico".

A Spezia ancora una volta, con piacere immaginiamo. Qualche particolarità che le è capitata?

"Si torna per lo spettacolo, ma la dura e pura realtà è che andiamo in giro per l’Italia per mangiare... E Spezia mi sono mangiato volentieri dei buonissimi testaroli".